Valery Melis, un tempo caporalmaggiore dell'esercito, due missioni all'attivo in Albania e in Kosovo, oggi fa parte di "un altro esercito": quello dei ragazzi morti per gravi malattie, contratte presumibilmente per aver inalato le ormai tragicamente famose polveri di uranio impoverito, dopo aver partecipato alle cosiddette missioni di peacekeeping.
Indipendentemente dalle posizioni che si possono assumere sulle suddette missioni, una cosa è certa: lo Stato, per conto del quale quei ragazzi stavano operando, nulla ha fatto per sostenerli nel momento del bisogno o per aiutare le loro famiglie successivamente. Quello Stato che è sempre pronto a rispolverare la retorica dell'onore e del tricolore in occasione delle parate militari non sembra altrettanto efficiente quando si tratta, in concomitanza o in alternativa, di riconoscere i propri errori, adoperarsi nella ricerca della verità, affermare i diritti di uomini in divisa che esso stesso (in altri momenti) dice di considerare con grande rispetto.
Per Valery Melis, morto il 4 febbraio 2004 dopo una lunga agonia, come per le altre vittime di quella che possiamo chiamare "sindrome dei Balcani" lo Stato sembra distinguersi solo per l'abilità con cui costruisce il muro d'indifferenza e carte bollate contro cui s'infrangono le richieste di chi vorrebbe sapere la verità: sembra che Il Silenzio, che lo stesso Valery domandò non venisse suonato ai propri funerali, lo Stato lo abbia non solo suonato, ma scelto come modello di comportamento.
DI tutto questo ho parlato con Marie Claude, madre di Valery, intervistata a Milano il 24 novembre 2005.
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Vorrei che fossi tu ad introdurre la tua storia: come è cominciata, e come hai vissuto - da madre - il calvario di tuo figlio...
Marie Claude:
Ricordo che lui ci telefonò da Napoli. Disse che era andato all'ospedale mentre si trovava lì con la sua ragazza, perché aveva dei noduli sul collo che andavano e venivano. Già a quel pronto soccorso avrebbero voluto ricoverarlo, ma Valery preferiva tornare a casa per farsi curare.
Ricordo che andammo a prenderlo all'aeroporto di Cagliari il 1° novembre 1999. Era una giornata festiva, e noi - preoccupati - non sapevamo bene dove portarlo. In un primo momento andammo alla clinica di Quartu, ma lì ci consigliarono di provare in un centro più attrezzato. Fu così che Valery fu ricoverato il 2 novembre, a Cagliari, dove iniziarono subito con gli esami, che culminarono nella biopsia che evidenziò la gravità della malattia: linfoma di Hodgkin, già diffuso ed in uno stadio molto avanzato. Da lì cominciò un lungo pellegrinaggio lungo gli ospedali, fino a Milano.
Che la sua malattia fosse conseguenza della missione nei Balcani, fu una sensazione che Valery ebbe subito o si concretizzò in un secondo tempo? In quei momenti parlò coi medici dei suoi sospetti?
M.C.:
Guarda, Valery era tornato dai Balcani pochi mesi prima, verso fine maggio, e già poco tempo dopo aveva cominciato a soffrire per le prime febbri... Ma l'evento che gli fece collegare le sue condizioni con la missione nell'ex Jugoslavia fu la morte di Salvatore Vacca, morto per leucemia nel settembre 99. Quindi, quando il linfoma fu accertato, mio figlio cominciò subito a temere che le sue condizioni fossero collegate alla fine di Salvatore.
Per quanto riguarda i primi colloqui coi medici: questi, circa l'origine della malattia, non dissero nulla; né a settembre 99, all'infermeria della caserma di Cuneo (dove Valery si rivolse dopo i primi disturbi) né successivamente.
Da quanto ho sentito, una delle polemiche nate attorno alla "vicenda uranio" riguarda le condizioni in cui lavoravano i militari italiani: condizioni che sarebbero state ben diverse (per quanto riguarda precauzioni ed attrezzature) rispetto al personale di altri contingenti. Volevo sapere se Valery ti parlò mai di questo; e volevo chiederti se, per quanto ti risulta, le cose oggi sono cambiate.
M.C.:
Confermo quanto dici. Per farti un esempio, Valery mi disse di aver visitato, assieme ad un commilitone, il campo dei colleghi francesi, e mi disse che proprio in termini di attrezzature a loro disposizione i due contingenti non erano paragonabili. E le notizie che mi giungono sulla situazione attuale non mi fanno pensare che le cose siano cambiate di molto. Perlomeno oggi danno un opuscolo, con qualche consiglio di comportamento ed un elenco di attrezzature che chi va in missione deve procurarsi autonomamente. Ma all'epoca di Valery le cose erano ancora peggiori: lui partì senza essere minimamente informato dei rischi sanitari cui andava incontro o delle precauzioni da prendere.
Anche se so che per te è dolorosissimo, vorrei affrontare ora la fine della vicenda. Come accennato nell'introduzione a questa intervista, mi risulta che fu lo stesso Valery a chiedere che al proprio funerale non fosse suonato il Silenzio: volevo chiederti se confermi l'esistenza di quella sua scelta, nonché, se ti va, di parlarmi delle motivazioni.
M.C.:
Sì, fu una sua scelta, anche se alla fine il Silenzio lo suonarono lo stesso, al Cimitero... Fu una scelta fortemente voluta da Valery: lui era molto arrabbiato per l'atteggiamento dei militari; era arrabbiato per quello che i militari avevano fatto, per quello che NON avevano fatto, e per quello che avevano detto.
Devi sapere che prima della sua morte ci fu un periodo in cui i media parlarono molto del "caso Melis", anche nei suoi aspetti "collaterali": si era parlato della malattia e della sua origine legata all'uranio impoverito, ma pure della fatica che facevamo per ottenere i rimborsi delle spese (mediche e di viaggio) per le cure a Milano. A Valery dava molto fastidio l'atteggiamento dei militari, sia di fronte alla sua famiglia, sia di fronte ai media. Per farti un esempio, negli ultimi tempi il generale Carta ci aveva telefonato, dicendoci che per i pernottamenti a Milano, dove Valery si sottoponeva alle cure, avremmo potuto usufruire di una struttura militare vicino a San Siro, dove ci avrebbero ospitato, ma a quel punto mio figlio non volle: non voleva più avere niente a che fare con quell'ambiente. E quando morì, sulla sua bara non mettemmo il tricolore, ma la bandiera del Cagliari calcio, società che - al contrario delle Forze Armate - ci era stata davvero vicina, a cominciare dal suo presidente, Massimo Cellino.
Le statistiche sui militari colpiti da patologie riconducibili all'uranio impoverito sono spaventose, e peraltro forse neppure quantitativamente complete (inoltre, oltre alla schiera dei morti accertati, esiste purtroppo una lunga lista di militari attualmente ammalati). Ma mi risulta naturale pensare che anche i civili delle zone contaminate presentino casistiche di mortalità allarmanti: tu o altri familiari di militari morti per linfoma di Hodgkin o patologie simili avete mai pensato ad approfondire la cosa, a stabilire dei contatti con questi civili eventualmente colpiti dagli stessi problemi?
M.C.:
Sicuramente concordo con te sul fatto che la questione sarebbe da approfondire, e che sarebbe opportuno cercare di stabilire una rete di contatti... Purtroppo non mi risulta che siano state compilate statistiche sui civili colpiti da queste patologie. E temo sia molto difficile concretizzare questi contatti tra i familiari dei militari e quelli dei civili; ti dico questo perchè anche sui civili, esattamente come sui militari, a livello ufficiale si tende a minimizzare. Ricordo, ad esempio, d'aver visto una trasmissione televisiva su questo tema: c'era un medico italiano che aveva operato in Bosnia, il quale sosteneva che nella popolazione civile non si riscontravano aumenti di incidenza di linfomi o leucemie...
Volevo chiedere una tua impressione anche sulla situazione della Sardegna, dove vivi tuttora. Parlo di una Sardegna che pare asservita a logiche e politiche di guerra e di scarsa tutela del territorio (anche se, ad onor del vero, sembra che qualcosa si stia muovendo in positivo, in tale senso), e dalla quale periodicamente arrivano voci allarmanti per la salute pubblica conseguenti questi "giochi di guerra".
M.C.:
So della situazione di Perdasdefogu, del Poligono di Quirra: noi viviamo lontano da lì, ma la gente del posto si lamenta della diffusione delle stesse patologie (leucemie, linfomi ecc.) che hanno colpito e colpiscono i reduci dai Balcani. Sono nati comitati locali che cercano di fare informazione e chiarezza su queste cose, ma le Istituzioni negano tutto. So che la Commissione d'inchiesta sull'uranio si sta interessando della cosa: è notizia di pochi giorni fa che [nota: fonte "Il Sardegna" 8 novembre 2005 - articolo di Elena Laudante] il consulente della Commissione ha trovato nel terreno delle basi di Teulada e Perdasdefogu una quantità impressionante di nanoparticelle del metallo. Purtroppo per ora non so dirti di più: vedremo gli sviluppi...
Sul "caso uranio" in Italia si alternano periodi di silenzio assoluto a periodi in cui, sotto la spinta emotiva di una nuova vittima, i media tornano ad interessarsi della vicenda. Si tratta di un atteggiamento, da parte del mondo dell'informazione, schizofrenico e superficiale. Nonostante questo mi sembra doveroso chiudere questa intervista citando l'ultima vittima, Fabio Senatore, morto il 7 novembre, e domandandoti cosa chiedi alle Istituzioni, non solo per tuo figlio, ma anche per gli altri casi analoghi e per il futuro.
M.C.:
I numeri parlano di oltre 40 casi accertati, ma probabilmente esistono anche casi non inseriti in questo macabro elenco.
Quello che chiedo, per Valery e per tutti, è la verità: il riconoscimento, da parte dello Stato, di quel che è avvenuto, senza falsità o reticenze. Questo riconoscimento della verità mi sembra fondamentale, per giustizia verso quelli che non ci sono più ma anche perché non si creino le condizioni per il ripetersi di queste tragedie.
Poi ci battiamo anche per avere i risarcimenti dovuti dallo Stato; come ti dicevo prima, ho sperimentato personalmente le difficoltà per ottenere un rimborso anche solo parziale per le spese mediche e di viaggio: è un dramma nel dramma... In questi giorni sembra che qualcosa si stia muovendo positivamente, nella prospettiva degli indennizzi, ma anche questi indennizzi serviranno a poco se non saranno diretta conseguenza del riconoscimento della verità. Ti dico questo perché per Valery, alla fine, riconobbero la causa di servizio, ma "per stress", come se lo stress potesse generare malattie di questo tipo... Si tratta di falsità di fronte all'evidenza: le analisi che la dottoressa Gatti eseguì parlano chiaro circa la natura dei corpi estranei rilevati nei tessuti delle vittime del linfoma di Hodgkin, tra cui mio figlio.
Io non so come facciano le Istituzioni, di fronte a certi riscontri, a parlare di stress, come hanno fatto per mio figlio: non so proprio come facciano a negare i fatti...
NOTA:
Per questo articolo ho avuto l'aiuto fondamentale di Angelo Garro e Anna Cremona, referenti del COGEMIL ("Comitato Genitori Militari caduti in tempo di pace"), cui rivolgo un enorme grazie, e la cui storia potete trovare in questa sezione:
http://www.reti-invisibili.net/cogemil/