A giugno il giudizio di Cassazione dopo le condanne inflitte in appello. Ben cinque giorni di udienze! Deciderà la stessa sezione che ha valutato il caso Dell'Utri. Il potere politico si aspetta che le cose siano "rimesse a posto". Ma la condotta tenuta in questi anni dai vertici di polizia, a fronte di fatti storici incontestabili, rende impossibile il recupero di dignità e credibilità.
Quando i giudici del tribunale di Genova, nel maggio 2010, condannarono in appello dirigenti e funzionari coinvolti nell'operazione Diaz, il potere politico giustificò la sua inerzia richiamando il giudizio divino della Cassazione. Solo dopo che la corte di terzo grado si sarà espressa, spiegarono, si potrà eventualmente pensare di fare qualcosa. Quindi no a sospensioni, dimissioni, a qualsivoglia intervento che possa ripristinare la dignità delle istituzioni, compromessa dalle violenze e dai falsi commessi alla scuola Diaz la notte del 21 luglio 2001 (e dalla loro copertura e legittimazione successiva).
La Cassazione fu chiamata da ministri e leader politici di entrambi i principali schieramenti a "salvare la patria", sottoforma di rigetto dell'inattesa sentenza di secondo grado, che accoglieva la richiesta dei pm e infliggeva pene imbarazzanti a dirigenti di polizia che scelsero undici anni fa - complici i vertici istituzionali - di non dare spiegazioni sull'infamante operazione denominata "perquisizione alla scuola Diaz" e di affrontare i processi cercando di salvarsi dai rigori della legge, trascurando le evidenti implicazioni morali, professionali, politiche.
Ora il giudizio della Cassazione si avvicina (10-15 giugno) e sarà davvero una specie di giudizio divino, viste le sue caratteristiche: due relatori, ben cinque giorni di udienze: neanche per il maxi processo a Cosa Nostra si era mobilitato niente del genere. Le cronache (vedi articolo del Secolo XIX) dicono che la sezione giudicante sarà la stessa che ha recentemente rinviato in appello Marcello Dell'Utri, mentre il procuratore sarà lo stesso che ha chiesto e ottenuto l'assoluzione dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro.
Succederà quello che dovrà succedere, ma una cosa già la sappiamo: la caduta di dignità e di credibilità, causata dal comportamento tenuto dalla polizia di stato in questi undici anni a fronte di fatti storici incontestatibili (pestaggio sistematico di 93 innocenti, sfiorato omicidio di Mark Covell, ricostruzione falsa dei fatti, arresti sulla base di prove inventate, boicottaggio dell'inchiesta), non potrà essere cancellata nemmeno da un'assoluzione, e men che mai da una provvidenziale prescrizione. Da cittadini, si prova un senso di pena, a constatare il crescente degrado delle istituzioni.