A PRONUNCIARE il verdetto decisivo sul massacro alla scuola Diaz nei giorni del G8 2001, sarà la stessa sezione della Suprema Corte che nei giorni scorsi ha cancellato le responsabilità del senatore Pdl Marcello Dell'Utri. E' l'atto finale del processo a carico dei poliziotti imputati per il blitz, che arriva dopo due sentenze discordanti: quella di primo grado ha assolto i superdirigenti dall'accusa di aver falsificato i verbali; quella in secondo li ha condannati. L'udienza é stata fissata giugno di fronte al secondo collegio della quinta sezione della Cassazione, e si protrarrà per cinque giorni (fino al 15). Un'infinità per i tempi del tribunale di ultima istanza, che solitamente liquida in una sola giornata anche i procedimenti complicati. Ma questa non è una sentenza come tante altre. La mole degli atti infatti potrebbe spingere ad accorpare diverse sezioni. In ballo ci sono i destini di imputati che oggi sono ai vertici della polizia italiana. A presiedere la corte sarà il giudice Aldo Grassi, storico esponente di magistratura indipendente, la corrente più conservatrice della magistratura. Nei giorni scorsi il magistrato è stato al centro d'una dura polemica a seguito della sentenza che ha disposto l'annullamento della condanna di secondo grado, otto anni, a Dell'Utri per concorso esterno in associazione (il nuovo processo a carico dell'esponente Pdl farà infatti scattare la prescrizione, ndr). Il caso Diaz rientra nelle competenze della medesima sezione, specializzata in reati commessi nell'amministrazione della giustizia.
Si riparte dal verdetto di appello, che ha condannato sia la mano che la mente del raid nell'istituto dov'erano alloggiati 93 noglobal, sorpresi nel sonno e massacrati di botte. Erano le 23 del 21 luglio 2001, l'ultimo giorno del vertice del G8 di Genova. Una data che, secondo i giudici di secondo grado, sarà ricordata come la notte «che disonora l'Italia agli occhi del mondo intero», quella in cui «i diritti fondamentali dell'uomo furono sospesi».
In primo grado, il tribunale di Genova, corte presieduta da Gabrio Barone, autorevole esponente di magistratura indipendente, il processo si chiuse con 13 condanne e un totale di 35 anni e 7 mesi di reclusione per i pestaggi. Tante anche le assoluzioni sedici, quasi tutti i «generali» scesi sul campo insieme alle truppe.
Il secondo grado ribalta completamente quella chiave di lettura. A presiedere la sezione questa volta è Salvatore Sinagra, oggi in pensione, per anni esponente di magistratura democratica, ala progressista della magistratura, prima di sbattere la porta in aperta polemica con il "correntismo" nell'Anm. Vengono condannati 25 imputati su 27, la pena complessiva sale a 85 anni. Pesano soprattutto i falsi, per i verbali di arresto taroccati, il reato pesante in questo contesto, delle lesioni contestate ai picchiatori. E compaiono nomi altisonanti fra quelli dei responsabili. Francesco Gratteri, oggi numero tre della polizia italiana (4 anni); Giovanni Luperi, attuale capo analista dei servizi segreti (4 anni); Gilberto Caldarozzi, vertice dello Servizio centrale operativo, superinvestigatore che ha indagato su Provenzano e sul caso Yara (3 anni e 8 mesi); Spartaco Mortola, ex capo Digos a Genova e al momento direttore della Polfer piemontese (3 anni e 8 mesi); Vincenzo Canterini, ex comandante del prirno reparto mobile di Roma (5 anni). Condanne che non hanno portato conseguenze nella carriera dei superpoliziotti, colpevoli e promossi alla direzione di squadre mobili, come Filippo Ferri a Firenze, Salvatore Gava all'Aqui1a, Fabio Ciccimarra a Taranto. Se la Cassazione confermasse quella sentenza, la polizia italiana dovrebbe fare tabula rasa di personaggi di spicco. Un'altra possibilità è l'annullamento del processo, che in sostanza riporterebbe indietro le lancette a un nuovo appello, in cui però la prescrizione sarebbe quasi certa. La Suprema corte potrebbe anche ribaltare il verdetto e assolvere direttamente gli imputati. Come successe per Gianni De Gennaro, ex capo della polizia e oggi numero uno dei servizi segreti. Condannato in appello, assolto in Cassazione dall'accusa di aver fatto pressioni per modificare le testimonianze sulla Diaz. In quel caso fu il procuratore generale Francesco Iacoviello a chiedere direttamente l'assoluzione.