"Anno 1990. Da quel triste momento di dieci anni fa tutti mi hanno sempre detto che ero fortunata ad essere così piccola e che quindi non soffrivo più di tanto, ma non sanno che quando la speranza muore la vita non ha più senso. Quella bambina è cresciuta, ora ha ventitré anni, ed ancora non sa che senso dare a questa sua sofferenza."
Linda Lachina (Figlia di Giuseppe Lachina e Giulia Reina morti a bordo del Dc-9. Da "Ustica - La via dell'ombra" di Flaminia Cardini - Sapere 2000)
Alle 21,00 circa del 27 giugno 1980 il DC9 I-TIGI della Società Itavia, decollato da Bologna verso Palermo, scompare dalle rilevazioni radar. L'allarme scatta immediatamente, mentre i soccorsi cominciano la mattina successiva nel punto in cui si è individuato l'inabissamento dell'aereo, rivelandosi purtroppo inutili: 81 persone (77 passeggeri e 4 uomini dell'equipaggio) trovano la morte nel mare tra le isole di Ponza e Ustica.
La storia, nella sua drammaticità, è semplice e lineare; così come sarà semplice e lineare la prima spiegazione ufficiale della tragedia: un cedimento strutturale del velivolo (tesi che sarà sostenuta per molto tempo). Negli ambienti giornalistici però questa tesi si rivela presto, più che semplice, semplicistica.
Le 81 vittime di Ustica hanno ottenuto la verità solo nel 1999, con la sentenza-ordinanza del Giudice Rosario Priore(1): "l'incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento. Il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un'azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto".
Cercando in rete materiale per questo caso, sul sito Misteri d'Italia (http://www.misteriditalia.com/ - che già ringraziai in occasione del primo articolo sui fatti di Genova) ho trovato questa condivisibilissima affermazione tratta dalla Relazione della "Commissiona Parlamentare Stragi", allora presieduta dal Sen. Libero Gualtieri (aprile 1992): "Come i magistrati assegnati all'inchiesta hanno potuto accusare, ancor prima di attendere l'accertamento definitivo sulla meccanica dell'incidente, numerosi alti ufficiali dell'Aeronautica e dei Servizi di aver depistato le indagini e ostacolato l'attività dei vari organi inquirenti, così per la Commissione è possibile indicare al Parlamento le responsabilità dei poteri pubblici e delle istituzioni militari per avere trasformato una "normale" inchiesta sulla perdita di un aereo civile, con tutti i suoi 81 passeggeri, in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni, al termine del quale, alle 81 vittime, se ne è aggiunta un'altra: quell'Aeronautica militare che, per quello che ha rappresentato e rappresenta, non meritava certo di essere trascinata nella sua interezza in questa avventura".
In effetti se l'inchiesta sulla causa della morte di quelle 81 persone si è trascinata per vent'anni, invischiandosi in depistaggi, falsità e reticenze, lo dobbiamo a molte figure delle istituzioni militari.
Da quando cerco di interessarmi ai "casi" della Nostra Repubblica ogni volta mi trovo a ripetere che il quadro non è quello di un paese "normale". A costo di diventare noioso devo ripeterlo anche in questa occasione, forse con più forza ancora. E questo perché la vicenda di Ustica ci parla non solo di una tragedia, ma pure di un Paese che (dal secondo dopoguerra alla fine degli anni '80) è stato davvero "a sovranità limitata". So che questa può sembrare una frase fatta, ma taluni dettagli della storia di Ustica (pur risultando marginali alla tragedia) costruiscono un quadro storico preciso e per certi versi agghiacciante.
Nel corso dell'intervista con la Senatrice Bonfietti vedrete comparire più volte il nome del Generale Mario Arpino(2). Vorrei citarlo pure in questa introduzione, ma indipendentemente dal contesto in cui lo sentirete nominare in seguito: lo cito in questa fase unicamente perché certi passaggi della sua deposizione presso la Commissione Stragi delimitano quel quadro storico al quale accennavo.
"Pensai prima alla collisione perché, l'anno precedente ed anche nel corso di quell'anno, c'erano state diverse segnalazioni di comandanti di velivoli civili, che lamentavano di essere stati attraversati da velivoli sconosciuti, soprattutto in quell'area del Mediterraneo... ...Questo era collegato al fatto che, in effetti, le esercitazioni delle portaerei, in particolare di quelle americane, ma anche di quelle francesi ed inglesi, e forse oggi anche della nostra, ma non è più proprio così, in mare aperto non venivano notificate agli organi del controllo... ...D'altronde, all'epoca le cose funzionavano così; le esercitazioni della sesta flotta non venivano necessariamente comunicate all'autorità nazionale qualora si fossero svolte al di fuori delle nostre acque territoriali o negli spazi aerei di aree regolamentate dove queste erano consentite fino a determinate quote... ...il discorso dell'eccessiva libertà degli aerei della sesta flotta sul nostro "teatro" era stato rappresentato anche all'autorità politica. Non so poi quali siano state le azioni intraprese da tale autorità nei confronti, in particolare, degli Stati Uniti... ...Tutta l'autorità operativa faceva capo alla catena NATO, come specificai in quell'audizione semi privata tenuta nel mio studio; la "nazionalizzazione" di un certo tipo di attività, ivi compresa la catena di comando e controllo, è cominciata molto tardi."
Queste affermazioni - di scarsa utilità ai fini dell'accertamento delle cause della caduta del DC9 - sono emblematiche di come quella "cultura del segreto" (così la definisce in altri passi del proprio intervento il Gen. Arpino) che permeava in quegli anni gli ambienti militari abbia ostacolato il regolare corso delle indagini. Ma - a livello più generale - mi sembra che queste affermazioni chiariscano soprattutto come la fedeltà di certi apparati dello Stato fosse indirizzata non tanto (o non solo) ai vertici politici nazionali, ma a referenti extraterritoriali.
Dalla lettura dei verbali della Commissione Parlamentare d'inchiesta su Ustica il quadro più verosimile che appare riguardo alla nostra Aeronautica (ed in parte riguardo ai nostri Servizi) è questo: si è fatto di tutto per non riconoscere (e conseguentemente per non fare conoscere) uno scenario materializzatosi nei nostri cieli che non si poteva rivelare. Parafrasando il Presidente della Commissione Stragi (Sen. Pellegrino) "o sapevano e non volevano dire, o se non sapevano non volevano sapere". Insomma, un conto è rendersi conto di quanto è difficile risolvere un mistero; un altro conto è la voglia di non sapere, per poter giustificare il "non poter dire"...
Come ho fatto in occasione dell'articolo sulla strage di Bologna (http://www.ecomancina.com/lastragedibologna.htm), anche in questo caso ho ritenuto opportuno non dilungarmi con un articolo descrittivo, preferendo incontrare qualcuno che questa vicenda l'ha purtroppo conosciuta "sulla propria pelle" e l'ha poi seguita negli anni, nei più minimi dettagli.
Il Presidente della "ASSOCIAZIONE PARENTI DELLE VITTIME STRAGE DI USTICA" è la Senatrice Daria Bonfietti, che gentilmente ha accentato di incontrarmi a Bologna presso la sede dei parlamentari D.S. dell'Emilia Romagna il 24 febbraio 2003.
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Innanzitutto una domanda sullo stato delle indagini: in internet ho trovato diversi documenti circa l'inizio del processo (28 settembre 2000) sulla strage di Ustica, processo nel quale figurano come imputati alcuni ufficiali dell'Aeronautica Militare (accusati di alto tradimento e di falsa testimonianza). Ho trovato però pochissimo materiale sullo stato attuale del processo, e volevo chiedere a lei di illustrarmi brevemente a quale punto è arrivato il dibattimento.
Sen. BONFIETTI:
Il processo prosegue molto stancamente in un'aula bunker di Rebibbia, lontano dall'attenzione dell'opinione pubblica. Sta ripercorrendo tutti questi lunghi anni di indagini e non sta cambiando l'impalcatura dell'istruttoria del Giudice Rosario Priore. Non mi sento di dire che dal dibattimento stiano uscendo novità eclatanti...
Però mi sento di dire che questo processo è solo un episodio nel quadro dell'intera vicenda di Ustica: riguarda solo ed esclusivamente l'atteggiamento e il comportamento di singoli ufficiali. Per questo forse il processo vive defilato rispetto all'attenzione dei media: non tratta l'abbattimento dell'aereo, ma solo il comportamento di questi ufficiali dell'Aeronautica Militare, ed in questo senso mi sembra che stia rispecchiando quanto abbiamo sempre sostenuto; ossia che già nell'immediatezza dell'accaduto nei vertici dell'A.M. ci fu la consapevolezza che fosse capitato "qualcosa di strano" nel cielo sopra Ustica.
Tenga presente che l'ipotesi accusatoria a carico degli imputati è "alto tradimento", un'ipotesi conseguente al non aver informato chi di dovere delle notizie che da subito erano in possesso degli imputati. Vorrei sottolineare che l'ex Presidente Cossiga, che pure in questi anni ha avuto atteggiamenti di "comprensione" nei riguardi degli imputati, ha affermato che a lui fu sempre riportata, quale versione ufficiale dell'evento, l'ipotesi del cedimento strutturale, che è invece l'unica ipotesi che l'indagine del Giudice Priore ha dimostrato essere totalmente infondata... Ripeto: questa fu, sempre e soltanto, l'informazione che il Governo dell'epoca ottenne. Io credo dunque che il processo stia mettendo in luce che nell'immediatezza dell'evento (al contrario di quanto fu riportato al Presidente del Consiglio) la consapevolezza di quel "qualcosa di strano", su cui ci soffermeremo in seguito, era già maturata.
Vorrei far notare pure che oggi l'A.M. sembra attestata sull'ipotesi "bomba interna all'aereo", ma all'epoca neppure questo scenario fu prospettato, a favore del cedimento strutturale; ipotesi quest'ultima che portò, per così dire, ad un "dramma nel dramma": quello della Società ITAVIA. Il Presidente dell'ITAVIA ha perso tutto nella strage. E quando dico tutto intendo i suoi beni, certo, ma pure il suo buon nome, tutto quello che aveva costruito in lunghi anni... Perché in base a quell'ipotesi l'ITAVIA perse la concessione delle linee e andò verso il fallimento. Anzi, quando il suo Presidente (Aldo Davanzali) osò dire che l'aereo era stato abbattuto da un missile fu denunciato per diffusione di notizia falsa e tendenziosa... In questo "dramma nel dramma" citerei pure il personale dell'ITAVIA. Molti di essi nella precarietà della situazione conseguente alla tragedia (e conseguentemente al passaggio ITAVIA - ALITALIA) hanno sofferto situazioni personali davvero difficili...
Tornando al processo, mi rendo conto che è deludente constatare l'indifferenza in cui sta scivolando. Vivo personalmente con grande amarezza questa indifferenza... Però mi ostino a ripetere che il processo riguarda solo ed esclusivamente singoli comportamenti personali dell'A.M. Perché credo che sul fatto in sé si debba rimanere a quanto ha stabilito il Giudice Priore nell'agosto 99: l'aereo fu abbattuto in seguito ad una manovra militare di intercettamento. Fu un atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata all'Italia, al quale nessuno ha mai dato alcuna spiegazione.
Una domanda che chiede una lunga premessa. Sempre il 28 settembre 2000, primo giorno del processo, il generale Mario Arpino - a quella data Capo di Stato Maggiore della Difesa - dichiarò che gli imputati si trovavano "dalla stessa parte delle vittime", e che il dibattimento processuale avrebbe portato "a configurare questi imputati più come vittime che come attori di scenari reconditi". Affermazioni che l'allora Presidente del Consiglio Amato definì "altamente inopportune". Ma a me non sembra che in questo caso si possa parlare di una gaffe o di uno "scivolone linguistico".
Dunque lo Stato, che da una parte si costituì parte civile contro gli imputati, vide uno dei suoi rappresentanti rilasciare dichiarazioni del genere... Io penso che sia uno dei tanti segni di uno Stato a doppia faccia. E a questo punto mi sorge spontanea un'analogia con una domanda che feci a Paolo Bolognesi (Presidente della "Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna" e della Unione Familiari Vittime per Stragi) e ad Haidi Giuliani. Pur con le dovute differenze, i vostri casi parlano di inefficienze, silenzi, depistaggi, falsità da parte degli apparati dello Stato. Con una brutale definizione ho accomunato (ripeto, con i dovuti distinguo) Haidi Giuliani, Bolognesi (e, a suo tempo Licia Pinelli) come "vittime di Stato"; nel senso che l'inefficienza (a volte "naturale", altre volte voluta o cercata) dello Stato ha segnato le vostre vicende. Già in quelle occasioni dissi che, comunque, mi sorprendeva in positivo il senso dello Stato che voi avete dimostrato, che mi sembra spesso più alto di quello di tanti personaggi che le Istituzioni dovrebbero rappresentarle. Ustica, poi, sotto certi punti di vista è peggio degli altri casi menzionati, in quanto nella sua storia troviamo, accanto all'indignazione ed all'impegno della opinione pubblica, l'imbarazzo con cui i vertici politici e militari hanno vissuto la ricerca della verità.
Lei è addirittura una rappresentante di queste Istituzioni. Quindi la mia domanda assume un significato per me ancora più profondo di quanto non avesse nei casi che ho citato prima. Che cos'è lo Stato, per lei? E soprattutto: come è cambiata (se è cambiata) la sua concezione di Stato, prima e dopo la tragedia?
Sen. BONFIETTI:
Noi come Associazione dei Parenti abbiamo sempre pensato che lo Stato fosse rappresentante dei cittadini; che lo Stato "vive" proprio in quanto rappresenta e tutela i propri cittadini. La nostra vicenda purtroppo ha avuto invece questa connotazione: un apparato dello Stato, l'A.M., si schierò smaccatamente e sorprendentemente a favore dell'occultamento della verità, mentre un altro apparato (il Potere Esecutivo) ha sempre manifestato difficoltà ad intervenire.
Il Gen. Arpino quando fece quelle dichiarazioni che lei ha citato non fece che continuare su questa falsariga. Il 27 giugno 1980 era il responsabile del "Centro Operativo di Pace"; è una di quelle persone che già nell'immediatezza dei fatti fu a conoscenza di molte cose. A livello personale non gli si possono imputare particolari comportamenti, ma se è evidente (come ha dimostrato la ricostruzione del Giudice Priore) che la consapevolezza che qualcosa di grave era capitato nel cielo di Ustica fu presente da subito (un "qualcosa" che escludeva il cedimento strutturale), allora mi sembra chiaro anche che pure il Gen. Arpino qualche sensazione (o qualcosa di più...) dovrebbe averla avuta.
Ad Arpino va poi sicuramente contestato un episodio specifico (e questo è un episodio accertato): di aver indotto in errore l'allora Sottosegretario Giuliano Amato. Amato ebbe un incontro (siamo nel 1986 - risulta sempre dall'istruttoria-Priore) con i generali Arpino e Tascio, nel quale i due ufficiali gli diedero informazioni incomplete o scorrette(3). Mi sembra uno strano colloquio: due generali (uno - Tascio - imputato di alto tradimento, l'altro no) parlano con il Sottosegretario Amato e gli danno informazioni non corrette. E' chiaro che, anche se non possiamo estendere arbitrariamente l'accusa di alto tradimento (Tascio incorse in ben altri comportamenti che portarono a quell'imputazione) possiamo dire che Arpino non ha certo collaborato alla ricerca della verità. Arpino è uno degli esponenti di quella linea interna all'A.M. che possiamo definire o come "copertura oggettiva" per scarsa collaborazione o come "copertura intenzionale".
Io credo che se vogliamo parlare di responsabilità degli altri apparati dello Stato (non dico del Parlamento, che sulla nostra vicenda ha scritto delle pagine davvero degne di nota, e vorrei ricordare tutto l'impegno della Commissione Stragi e del Senatore Libero Gualtieri in particolare), possiamo parlare di una mancanza di incisività nei riguardi dei vertici dell'A.M. da parte dei vari esecutivi succedutisi negli anni.
A questo proposito riesco a ricordare solo due episodi che si discostano da questa linea e si segnalano in positivo.
In primo luogo quando il governo Amato si costituì parte civile contro gli imputati. Questo fu un fatto importante non solo a livello emblematico, ma pure a livello concreto: costituendosi parte civile contro gli imputati dell'A.M. il Governo obbligò anche i vertici dell'Arma ad attenuare la posizione di aperta copertura nei riguardi degli imputati. Allentò ed indebolì certi rapporti all'interno dell'Arma.
L'altro passaggio positivo si ebbe quando Prodi e Veltroni intervennero presso la NATO affinchè fosse permessa la lettura dei codici. Questo episodio è particolarmente significativo nell'economia delle indagini, perché la NATO offrì una collaborazione che consentì al Giudice di accertare definitivamente la presenza di altri aerei attorno al DC9.
Questi due episodi sono gli unici strappi che due esecutivi seppero dare ad una posizione di pressochè completa cecità riguardo la vicenda di Ustica.
Io credo che pure la nomina di Arpino a Capo di Stato Maggiore della Difesa sia stato un errore; e personalmente sono dispiaciuta che quell'errore l'abbia commesso il governo dell'Ulivo.
Qui devo fare una divagazione: Il Capo di Stato Maggiore della Difesa viene nominato a rotazione fra le tre Armi; dal 1980 l'A.M. non era più stata "toccata" da questa rotazione. Sicuramente è corretto dire che era sbagliato sostenere che l'A.M. dovesse essere "punita" in qualche modo per Ustica, e quindi posso pure pensare che al momento della nomina di Arpino si fosse ritenuto di segnalare in questo modo un "ritorno alla normalità"; ma avrei preferito che questo ritorno alla normalità avesse voluto significare anche un diverso atteggiamento da parte dell'A.M. rispetto al passato, un momento di rottura rispetto a tanti anni di coperture e falsità.
Arpino fece pure certe dichiarazioni presso la Commissione Stragi, accentuando i toni retorici di condanna rispetto al passato, ma nel concreto credo che il Gen. Arpino l'abbia definito compiutamente proprio il Magistrato quando disse più o meno: "mi ha detto soltanto le cose quando le sapevo già"...
Al contrario (e forse noi ce ne siamo accorti in ritardo, e questo è un mio cruccio) il predecessore, Generale Pillinini, cercò davvero di creare una frattura fra l'A.M. e gli imputati. Fu un'opera silenziosa e discreta, e forse anche noi nell'immediatezza non l'abbiamo capita fino in fondo, ma fu un momento in cui perlomeno trovammo collaborazione.
Tornando allo Stato: il modello di Stato con cui ancora oggi noi, come Associazione dei Parenti delle Vittime, ci troviamo a che fare è uno Stato fatto di apparati che si autotutelano. E in questo senso anche i collegamenti che faceva lei con altre vicende non sono azzardati; capita "qualcosa" e la Polizia si schiera in difesa di se stessa; un altro episodio ed ecco che sono i Servizi Segreti ad autodifendersi... Questo è il modello di Stato che mi sembra emerga dalle nostre vicende: una serie di apparati che invece di impegnarsi al servizio dei cittadini fanno quadrato e pensano ad autotutelarsi...
Visto che parliamo di apparati: c'è un'altra parte della risposta che mi diede Paolo Bolognesi (sempre quando gli chiesi della sua visione dello Stato) che da tempo vorrei confrontare con una persona come lei. Pur affermando, con grande senso di realismo e di responsabilità, che "... se nell'ambito della strage di Bologna siamo riusciti ad arrivare a dei risultati è perché nella polizia, fra i carabinieri, nella magistratura, e negli stessi servizi segreti abbiamo trovato uomini davvero all'altezza dello Stato...", Bolognesi mi disse anche "dal dopoguerra fino al 1981 tutti i capi dei servizi segreti sono stati implicati in qualche modo, per depistaggi o altro, negli episodi di stragi. E i servizi segreti sono organi esecutivi, "eseguono ordini", come si dice; i loro vertici sono nominati politicamente, ma nessuno dei Ministri implicati nella scelta di questi vertici ha mai pagato politicamente per le azioni dei servizi o per le protezioni fornite a questi personaggi. Pertanto quando si parla di "schegge impazzite" o di "servizi deviati" a me sembrano fesserie: questi signori facevano esattamente quello che "dall'alto" gli dicevano di fare."
Dunque Servizi non deviati, ma gente che rispondeva (per carità, come riconosce lo stesso Bolognesi non sempre ma spesso...) ad un preciso disegno destabilizzante... Lei che ne pensa? Inefficienza congenita di questi apparati o fortemente cercata o voluta?
Sen. BONFIETTI:
Lei mi chiede dei Servizi Segreti, di cui parlò Bolognesi in base alla sua esperienza; io vorrei restare alla nostra vicenda (indipendentemente da analogie che possono legittimamente sorgere). Io posso dire, in base alla nostra esperienza con la A.M., che a volte l'Esecutivo non sembrò in grado di controllare quel dato apparato. Sembra che "l'apparato" diventi più forte dell'Esecutivo stesso. Io ricordo di Ministri che si impegnarono espressamente, dicendo di avere dato l'ordine affinchè - cito come esempio - certe documentazioni fossero messe completamente e tempestivamente a disposizione della Magistratura, ma poi mesi dopo si scopriva che quell'ordine non era stato eseguito...
E questo atteggiamento degli esecutivi, debole o distratto, l'ho dovuto constatare anche in esponenti della sinistra. E parlo della già citata nomina di Arpino, ma anche di altri episodi; di momenti in cui è sembrato che "l'apparato" condizionasse l'esecutivo, e non viceversa. Insomma, nella nostra vicenda la A.M. è stato un imbuto che frenava lo scorrere dei fatti. Questo per restare ad Ustica e alla nostra esperienza con un dato apparato dello Stato. Non dico che paragoni di altre vicende con altri apparati siano improponibili.
Avendo parlato nelle precedenti domande di Bolognesi e delle Associazioni da lui presiedute, mi sembra corretto parlare ora della "ASSOCIAZIONE PARENTI DELLE VITTIME STRAGE DI USTICA", che lei presiede. Vorrei che lei mi parlasse un po' della storia dell'Associazione e degli obbiettivi che si pone.
Sen. BONFIETTI:
Dobbiamo purtroppo partire dalla tragedia del 27 giugno 1980... Come tutte le vicende drammatiche, anche la nostra occupò le prime pagine dei giornali per diversi giorni, per poi sparire gradatamente dall'attenzione dei media. E sparì anche perché nell'opinione pubblica fu presto inculcata la famosa teoria del cedimento strutturale, quindi la caduta dell'aereo sembrò archiviata come un normale incidente, la "tragica ovvietà" di cui parlò Cossiga. Tutto questo ovviamente si annoda con decine di vicende personali, quelle dei familiari delle vittime. Io posso dire qualcosa della mia.
Mio fratello Alberto doveva raggiungere da Bologna la moglie e la figlia, in vacanza in Sicilia. Non doveva neppure partire il 27 giugno, ma prima; In seguito ad una serie di casualità incredibili rinviò la partenza finendo col salire proprio sul volo dell'ITAVIA... All'epoca nostra madre era già morta; nostro padre viveva a Bologna, con me, ma pure lui in quei tempi cominciò ad avere seri problemi di salute. Dopo quella notte proprio per riguardo a mio padre in casa si parlò il meno possibile della vicenda per molto tempo. Spegnevo pure la TV quando ne parlavano, affinchè a mio padre giungessero meno notizie possibili.
Poco tempo dopo la morte di mio padre cominciò il mio impegno. Forse si trattò di una specie di elaborazione del lutto, forse era cessata l'esigenza di tutelare mio padre, sta di fatto che cominciai a pretendere certe risposte. Della vicenda non si parlava più; non si sapeva a quale punto o come fossero orientate le indagini... Insomma, cominciai a pensare alla tragedia sotto un'altra ottica, che trascendeva il dolore personale. Volevo sapere come erano andate le cose, quella sera.
In quegli anni (intendo dal 1980 al 1986) c'era comunque qualcuno che aveva cercato di tenere desta l'attenzione sulla vicenda. Parlo innanzitutto di Andrea Purgatori(4) sul Corriere della Sera (ed è tutta la vicenda che viene narrata ne "Il muro di gomma" di Marco Risi) e di Romeo Ferrucci (ex Magistrato della Corte dei Conti ed Avvocato di grande impegno sociale, un impegno con cui cercò di tenere viva la battaglia per la verità nella vicenda di Ustica; è davvero necessario onorare anche il suo ricordo...).
Poi, come dicevo, si arriva al 1986, quando mi sentii di impegnarmi anch'io in questa faccenda. Scrissi una lettera a tutti i parenti delle vittime, proponendo di associarci. A questa lettera risposero praticamente tutti. Ci furono anche un paio di risposte molto belle e dignitose che declinarono l'invito, dimostrando grande comprensione per il nostro impegno ma dicendo in buona sostanza che il loro affetto più grande l'avevano perso nel cielo di Ustica e che pure la ricerca della verità, per loro, non aveva più senso.
Da questo momento cominciammo a muoverci, a farci sentire. E pure l'opinione pubblica che aveva accantonato "il caso Ustica" (probabilmente perché non sollecitata fino in fondo) cominciò a risvegliarsi. Cominciò il coinvolgimento della gente in varie iniziative e cominciarono pure i contatti ufficiali con le istituzioni, culminati nell'incontro con il Presidente della Repubblica Cossiga. Tutto questo costituì una cassa di risonanza per le ricerche dell'Associazione e per le nostre iniziative in generale. Credo davvero che l'impegno della società civile sia stato molto forte e molto importante per arrivare a certi risultati, risultati che vedono il loro culmine nel 1999, quando il Giudice Priore nella sua sentenza-ordinanza finalmente chiarì che le cose erano andate come noi avevamo supposto (ossia che l'aereo era stato abbattuto in seguito ad una battaglia aerea nei nostri cieli, alla quale nessuna aveva dato spiegazioni)...
Ecco, questo è il problema che sento oggi profondamente: noi ci saremmo aspettati che quello fosse un punto di partenza, non di arrivo. E invece siamo entrati in quella fase di stallo di cui parlavamo pure all'inizio. Forse a questa fase stagnante ha contribuito il fatto che nell'opinione pubblica si è come formata la convinzione che tutto il possibile è stato già ottenuto, che i sospetti sono stati confermati. Non siamo riusciti a creare le condizioni affinchè questa vicenda, facesse un "salto di qualità" nell'opinione pubblica, diventando un caso di dignità Nazionale.
E' chiaro che una grande parte del percorso che ci eravamo proposti come Associazione (ossia il ricostruire la verità sull'evento) col dispositivo-Priore è stata ottenuta, e questo è motivo di grande soddisfazione, ma il passo successivo non c'è stato. A nostro avviso dopo il documento del Giudice Priore doveva nascere quel sussulto di dignità nazionale che doveva far sorgere spontanea la domanda "Ma come?! Hanno abbattuto un nostro aereo civile nei nostri cieli e nessuno ci ha mai dato spiegazioni?!". Insomma, non si trattava più di una ricerca della verità da parte dei parenti delle vittime, ma di un salto di qualità nella coscienza civile Nazionale che purtroppo non abbiamo visto.
Dal punto di vista giudiziario viviamo in un paese garantista (anche se qualcuno lo nega, lamentandosi spesso di forzature da parte della Magistratura, e parlando - più o meno palesemente - di Giudici soggiogati dal "potere" dei P.M., di protagonismo della Magistratura ecc.). Da cittadino non posso che essere contento del garantismo, ma ho già avuto modo di conoscere la giusta irritazione delle vittime di Stragi riguardo all'attenzione che la stampa spesso presta alle ragioni degli accusati. Ogni qualvolta scatta un impianto accusatorio nei confronti di un dato soggetto, i giornali spesso danno risalto agli imputati, intervistandoli e facendo ascoltare "la loro campana".
Mi rendo conto che rispondere alla mia prossima domanda presenta il rischio della generalizzazione e della banalizzazione, ma quale è il giudizio in generale che lei, sulla base della sua esperienza personale, ha maturato sulla Magistratura Italiana? E quale quello sulla Stampa Italiana?
Sen. BONFIETTI:
Se su Ustica siamo arrivati a certi risultati è merito della stampa. La stampa per un lunghissimo periodo è stata compatta, coerente, molto attenta alla nostra storia. Devo citare "Il Messaggero", "Il Manifesto", "La Repubblica", "Il Giorno", "L'Avvenire" e altri ancora, ma direi che "la punta" è stato "il Corriere della Sera", con il già citato Andrea Purgatori.
Quella che si vede ne "Il muro di gomma" è la sua storia. Purgatori all'epoca era un giovane giornalista, fidanzato con una hostess. Il 27 giugno 1980 la sua prima reazione non fu da giornalista ma da fidanzato: cominciò un giro di telefonate per essere rassicurato sulla sua ragazza. In queste telefonate (ripeto, svoltesi nell'immediatezza dell'accaduto, quando ancora non era trapelato nulla di ufficiale sul DC9) ottenne pure una risposta che gli suonò strana: "Andrea, non farti fregare: è stato un missile...". Da questo momento Purgatori cominciò le sue ricerche, tra conferme e smentite, e questa sua esperienza confluì nel film di Marco Risi.
Insomma, il mio giudizio non può che essere positivo sulla collaborazione della "carta stampata", e a dire il vero anche delle televisioni.
L'impegno della Magistratura invece devo dividerlo in due fasi temporali, di cui la prima contrassegnata da totale disimpegno. L'indagine è passata attraverso più Procure; da Palermo arrivò a Roma, con il Giudice Santacroce. Questo primo Magistrato non nominò neppure una commissione peritale, gestendo la strage come fosse un incidente stradale. Poi arrivò il Giudice Bucarelli come Giudice Istruttore, mentre Santacroce restò come PM (ricordo che siamo ancora nel "vecchio rito"). Bucarelli fece qualcosa di più, nominò una Commissione, ma a mio avviso fece anche errori incredibili: ad esempio dimenticò di ascoltare i nastri delle registrazioni audio...
Qui devo fare una divagazione. Uno dei grandi problemi con cui noi come Associazione Parenti delle Vittime ci siamo dovuti scontrare era "la conquista del sapere". A volte penso che la nostra vicenda potrebbe essere letta anche come una parabola sulla lotta per la conquista del sapere, che nel nostro caso era costituito da conoscenze militari, impregnate dunque di tecnicismi, di terminologie per noi oscure, che nessuno ci volle chiarire. Il trovarci a che fare con una realtà che gravitava nella sfera del "sapere militare" fu una difficoltà in più per tutti. Per noi familiari ma pure per i Magistrati...
C'è un episodio che ha dell'incredibile, e me lo ricorderò sempre: nelle registrazioni audio ad un certo punto si sente qualcosa tipo "qui c'è un salto di baffone". Il Giudice andò avanti per mesi a chiedersi e a chiedere cosa volesse dire quell'espressione, ottenendo risposte anche assurde, quasi irridenti (tipo: "forse si parlava di un barbiere..."). Nessuno gli disse che nel gergo militare "baffone" era la traccia di un aereo militare.
Questo è solo un episodio banale, ma significativo. Si potrebbe andare oltre e dire delle difficoltà incontrate a capire come funzionava un radar, l'episodio del Synadex(5), eccetera.
Anche quando andammo alla NATO facemmo esperienze terribili, con i loro tecnici che guardavano i tabulati e ci dicevano stupiti: "Ma come?! Qui risulta un 'allarme in cielo' e nessuno ve l'ha detto?!'"(6). Nel primo documento ufficiale, poco tempo dopo la disgrazia, dissero subito che non si erano rilevati aerei nel cielo nella fascia oraria richiesta, e poi scoprimmo che si era giocato persino con "incomprensioni" circa l'ora legale ed i fusi orari...
Ci rivolgemmo al Politecnico di Torino per avere assistenza tecnica; ci misero a disposizione dei periti, e questo fu un salto di qualità nelle indagini, perché di fronte a tecnici preparati certi inganni non potevano più funzionare...
Ma torniamo a Bucarelli: dunque non ascoltò i nastri. Se li avesse ascoltati forse qualcosa di più si sarebbe capito da subito: per esempio che per tutta la notte del 27 giugno si cercò la presenza di aerei militari; che già quella notte ci fu la sensazione che quel "qualcosa di strano" che era successo nel cielo era collegato al movimento di aerei nella zona; che nelle telefonate dei vari Centri Operativi per tutta la notte proseguì la ricerca di una portaerei, da cui quei velivoli dovevano essere partiti...
Questa, dicevo, è la prima parte della nostra storia con la Magistratura. La vera svolta positiva la vivemmo quando arrivò Rosario Priore.
Anche a questo punto devo soffermarmi su un episodio che è opportuno ricordare. Ad un certo punto il Giudice Bucarelli ebbe un contrasto con l'On. Amato. Amato incontrò Bucarelli, e sostenne che il Giudice gli aveva mostrato alcune foto del relitto prima che lo stesso fosse recuperato. Il Magistrato negò di avere mostrato foto del relitto prima delle operazioni di recupero, querelò l'On. Amato e abbandonò il caso Ustica, che arrivò nelle mani del Giudice Priore. Ed è a questo punto che le indagini furono affrontate con ben altra determinazione.
Dunque se lei mi chiede un giudizio sulla Magistratura in generale, posso dire che io ne ho visto due volti. Ho dovuto soffrire una Magistratura totalmente disimpegnata, che non ha fatto il proprio dovere (e contro la quale, vorrei sottolineare, nessuno ha preso provvedimenti), e constato purtroppo che ancora oggi questa Magistratura "passiva" vive indisturbata, mentre quei Giudici che al contrario si impegnano vengono ostacolati, colpiti, offesi... Restando alla nostra esperienza, ho trovato offensiva la nomina di Santacroce a capo di una Commissione per i diritti delle vittime... Penso di poter dire che Santacroce rappresenti proprio quella parte di Magistratura votata alla difesa del potere, e non a servizio dei cittadini.
Ho aperto il mio articolo con una bella frase di Linda Lachina (figlia di una coppia morta a bordo del Dc-9), e vorrei ora chiuderlo allo stesso modo, con alcune sue sensazioni su quella frase.
Era il 1990: "Da quel triste momento di dieci anni fa tutti mi hanno sempre detto che ero fortunata ad essere così piccola e che quindi non soffrivo più di tanto, ma non sanno che quando la speranza muore la vita non ha più senso. Quella bambina è cresciuta, ora ha ventitré anni, ed ancora non sa che senso dare a questa sua sofferenza."
Sono passati altri 12 anni. Lei purtroppo ha dovuto condividere il dolore e l'esperienza di Linda, che il 27 giugno 1980 era solo una bambina. Dopo Ustica lei non si è "fermata", per così dire, al dolore personale: ha contribuito a costituire l'associazione dei parenti delle vittime di quella strage, ha cominciato un'attività politica intensa, nella quale non si è limitata all'impegno su "Ustica e dintorni": è promotrice del Comitato "la Legge è uguale per tutti"; è stata relatrice della cosidetta "legge sulla pedofilia"; ha combattuto contro la riforma - voluta dal centro-destra - del commercio delle armi, eccetera.
So che può sembrare retorico, ma si sente oggi di dare un senso alla sua tragedia personale? E, se sì, questo senso è riconducibile alla sua dimensione individuale o può accomunare tutti i parenti coinvolti nel dramma del 27 giugno 1980?
Sen. BONFIETTI:
Tra le nostre iniziative come Associazione ci fu un convegno, "il dolore civile", imperniato proprio sul principio che da esperienze dolorose personali può nascere l'impegno civile.
Il dolore personale è "personale" e basta; ma io ho sempre pensato alla vicenda di mio fratello Alberto anche come alla vicenda di un cittadino che doveva vedere i propri diritti riconosciuti e difesi. Mi sembra inconcepibile che in un Paese civile si perdano 81 persone e non si sappia né si voglia spiegare come si sono perse...
Io credo che con la nostra azione abbiamo rivendicato, anche per quelli che non ci sono più, "il diritto di cittadinanza". Il diritto di ottenere almeno verità e giustizia.
Il dolore, insomma, è un tuo fatto privato, ma può e deve diventare pure lo strumento con cui eserciti il tuo impegno nella difesa di certi diritti, della civiltà, della memoria di questa Nazione.
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Note:
(1) Il Giudice Rosario Priore chiuse la propria istruttoria nel 1999, con una sentenza ordinanza di più di 5000 pagine. Nell'articolo e nell'intervista troverete più volte citata la sintesi che fece il Magistrato sull'abbattimento del DC9. In questo momento vorrei però citare testualmente un altro passo di questa ordinanza, che appare quasi uno sfogo: "Questa inchiesta, come tante altre sulle stragi che hanno afflitto la storia della nostra Repubblica, se non più delle altre per gli interessi nazionali e internazionali che ne sono coinvolti e per essere durata nella sola fase dell'istruzione quasi un ventennio, è stata afflitta da tentativi, più o meno riusciti, di inquinamenti e sviamenti di ogni genere. La disinformazione e l'intossicazione non hanno mai avuto interruzioni, e a volte sono state devastanti."
(2) Generale Mario Arpino: figura di grande rilievo nella storia recente delle Forze Armate Italiane. Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica (1995) e poi Capo di Stato Maggiore della Difesa (1999)
(3) Nelle parole del Gen. Arpino presso la Commissione Stragi, risulta che, oltre allo stesso Arpino ed al gen. Tascio, "... erano presenti il Sottocapo di Stato Maggiore, generale Gargioli, il professor Manzella e l'ammiraglio Falciai, che allora era vice capo di Gabinetto."
(4) Andrea Purgatori: giornalista del Corriere della Sera. Ha partecipato pure alla sceneggiatura de "Il muro di Gomma", il famoso film con la regia di Marco Risi del 1991. Fu anche il primo giornalista a sconfessare la tesi del cedimento strutturale.
(5) Synadex: acronimo di "Synthetic Air Defense Exercise". A costo di qualche banalizzazione tenterò di sintetizzare: esiste un "buco" di vari minuti nelle rilevazioni radar di Marsala, "a cavallo" della caduta del DC9 ITAVIA. Un buco che fu spiegato sostenendo che proprio in quei momenti fu cambiato il nastro nel computer della stazione di rilevamento, per inserire un nastro-esercitazione (il Synadex, per l'appunto)
(6) "L'allarme in cielo": credo che la Senatrice Bonfietti si riferisca a questo episodio, che riporto citando testualmente uno stralcio di articolo di Andrea Purgatori - Corriere della Sera - 18 giugno 1997: "Dalla base dell'Aeronautica di Grosseto decollano, ufficialmente per un'esercitazione, tre F-104: due intercettori monoposto e un biposto da addestramento, un TF. A bordo di quest'ultimo, invece che un istruttore e un allievo ci sono due fior di capitani piloti istruttori, Mario Naldini e Ivo Nutarelli. La loro missione (la "433") prevede un piano di volo Grosseto-Grosseto via Firenze, Bologna, Villafranca. Alla cloche degli altri due F-104, dicono i registri della base, due tenenti: Bergamini e Moretti. Il radar individua le tre tracce sulla scia del DC9 all'altezza di Firenze, quindi segue il biposto e uno dei due monoposto in avvicinamento a Grosseto quando mancano 20 minuti alle 9 di sera, l'ora della strage. E qui, il mistero. Il biposto di Nutarelli e Naldini, poco prima di rientrare segnala a terra il codice di allarme "cliccando" con la radio e poi virando tre volte consecutive "a triangolo". Su questo gli esperti della Nato non hanno avuto il minimo dubbio. Ma il radar non spiega il perché del codice d'allarme. Una ipotesi: i tre F-104 hanno inquadrato i due clandestini nascosti all'ombra del DC9 e segnalano l'emergenza a terra."
Ricordo che Ivo Nutarelli e Mario Naldini sono entrambi morti nella tragedia di Ramstein (28 agosto 1988), durante un'esibizione aerea.