25 anni. 25 anni di silenzi e omertà. 25 anni di memoria nei cuori di chi quel 27 giugno 1980 perse i propri cari nei cieli di Ustica. Un quarto di secolo in cui nessuno ha voluto, o ha potuto, dire esattamente cosa successe quella notte nei cieli sopra l'isola del Mediterraneo: teorie diverse hanno cercato di raccontare quello che fin dall'inizio apparve come uno strano incidente. Si parlò a lungo di una bomba posta all'interno del velivolo, alcuni ipotizzarono scenari da vera e propria battaglia area con coinvolgimenti internazionali. Un intenso film ha raccontato la vicenda cercando di indagare e mettere in luce le diverse anomalie del caso: "Il muro di gomma" è divenuto, nel tempo, quasi un modo di dire, una di quella frasi fatte di cui a volte si abusa, ma che ben sintetizzano la realtà di Ustica e di quella notte di 25 anni fa. I fatti: il DC9 Itavia parte da Bologna con quasi due ore di ritardo; la sua destinazione è Palermo e lascia l'aeroporto emiliano alle ore 20:04 invece delle 18:15. Alle ore 20:58 avviene l'ultima comunicazione radio con il centro di controllo di Roma. Alle ore 20:59 l'aereo scompare letteralmente dai radar e viene persa ogni traccia. Inutilmente si tenta di contattare il DC9, ma è tutto vano: tutte le 81 persone a bordo moriranno. E la loro è una morte che dura 25 anni: in questo lungo periodo sono state fatte indagini, si sono svolti processi, centinaia di inchieste hanno cercato di spiegare quello che per lo Stato italiano per anni è rimasto un "cedimento strutturale", uno strano fenomeno che è assimilabile al "malore attivo" che fece scivolare Giuseppe Pinelli dalla Questura di Milano il 15 dicembre 1969 o i mille misteri di questa Italia sbarazzina, che cambia governanti e governatori, ma rimane sempre la solita vecchia e stanza Italia, fatta di trame oscure e misteri inviolabili. Nel tempo le ipotesi si sono susseguite: c' è chi ha parlato di una bomba posizionata sull'aereo adducendo come prova la presenza sul velivolo dell'estremista di destra legato ai servizi segreti Marco Affatigato. Altri hanno invece coinvolto gli immancabili americani, la Libia e i nostri benemeriti servizi segreti; in soldini tale teoria dice: gli americani vengono a sapere che quella sera il colonnello Gheddafi sarebbe transitato entro quello spazio aereo. Tutti sappiamo che gli USA non lesinano complimenti ai loro presupposti nemici e, memori delle tattiche omicide adottate in America Latina, decidono di abbattere il suo aereo. Per qualche strano motivo, adducibile forse al ritardo del volo Bologna - Palermo, un aereo viene colpito ma non quello libico, bensì il DC9 Itavia. Tutto venne poi messo a tacere dai diligenti servizi segreti italiani al servizio di sua maestà USA. Fantapolitica? Delirio dietrologistico? Nessuno lo saprà mai, così come mai capiremo se effettivamente vi è qualche connessione con il Mig libico ritrovato il 18 luglio 1980 sulle montagne della Sila. Ma soprattutto nessuno ci ha ancora detto se effettivamente il caso Ustica è collegabile con il 2 agosto 1980, con quella misteriosa strage alla stazione di Bologna che fece 85 morti e 200 feriti. Un bomba scoppiò alle ore 10:25 nella sala d'aspetto di seconda classe: ancora oggi è possibile vedere l'ora esatta dell'esplosione sull'orologio esterno della stazione. Chi fu l'autore di di quella strage? Chi decise di colpire proprio Bologna, città dalla quale partì l'aereo colpito a Ustica? Stanno scontando per tutto questo Giusta Fioravanti e Francesca Mambro, da sempre dichiaratisi innocenti per quell'episodio. Non è intenzione del presente articolo esplorare il mare immenso della cosiddetta "notte della Repubblica", quel lasso di tempo in cui l'Italia finì in balia di servizi segreti deviati, di terroristi neri e rossi in preda al delirio rivoluzionario, di una classe politica che non seppe o non volle affrontare il cambiamento della società. Una società che chiedeva un cambiamento: le occupazioni delle scuole e l'autunno caldo del 1969 erano stati i segni di un qualcosa che si stava muovendo, che il mondo del lavoro e quello dell'educazione erano ancorati a vecchi schemi scaduti. Ma poi venne il 12 dicembre 1969, strage di piazza Fontana, Milano: già con il governo Tambroni e la sua violenza a Roma, Catania e Regio Emilia si era avuto un assaggio della degenerazione statale in atto. Il tentativo di golpe De Lorenzo nel 1964 aveva fatto scattare l'allarme tra coloro i quali prevedevano il pericolo di una svolta reazionaria e autoritaria. Ma piazza Fontana, con i suoi 16 morti e 90 feriti, sancì definitivamente il via di una stagione di sangue e terrore che difficilmente potrà essere scordata. Speriamo, anzi, che nessuno scordi quel periodo, che nessuno voglia farlo passare come una breve e triste parentesi: le conseguenze di quella stagione sono ancora presenti non solo nelle nuove Brigate Rosse, ma nel tentativo silenzioso e deciso di modifica della Costituzione, di introduzione di leggi liberticide, nella frustrazione che cresce in una società allo sbando, senza una sicurezza lavorativa e in preda a una insormontabile rabbia.