A trent'anni dalla strage di Ustica è ancora guerra feroce. Lo «scenario bellico», che secondo una delle ricostruzioni attualmente più plausibili avrebbe portato un missile lanciato da un aereo militare occidentale a colpire, la sera del 27 giugno 1980, il Dc9 dell'Itavia deflagrato in volo e poi inabissatosi tra le isole di Ponza e Ustica con 81 persone a bordo, si è tramutato in una pluridecennale guerra di depistaggi, ipotesi e ricostruzioni contrapposte che pezzi d'apparato, gruppi di potere, gangli delle istituzioni hanno cominciato a scagliarsi l'uno contro l'altro già dalle prime ore che hanno seguito la tragedia. In questa babele di verità e ragion di Stato contrapposte, il presidente della Repubblica è intervenuto con un messaggio indirizzato alla presidente dell'Associazione parenti vittime della strage di Ustica, senatrice Daria Bonfietti, ricordando come «i processi sin qui celebrati non hanno consentito di fare luce sulla dinamica del drammatico evento e di individuarne i responsabili», auspicando per questo «il contributo di tutte le istituzioni a un ulteriore sforzo per pervenire a una ricostruzione esauriente e veritiera di quanto accaduto, che rimuova le ambiguità e dipani le ombre e i dubbi accumulati in questi anni». Chi ha voluto leggere nelle prudenti parole di Napolitano una replica alle dichiarazioni del sottosegretario alla presidenza del consiglio Giovanardi, che ha provato a rilanciare in questi giorni, a nome del governo, la tesi dell'esplosione interna e dunque della bomba a bordo, è rimasto deluso. In effetti Napolitano non cita solo la mancata individuazione dei responsabili (i processi hanno individuato depistaggi e responsabilità d'omissione da parte dei vertici militari dell'Aeronautica), ma anche la mancata chiarezza sulle dinamiche, nonostante sul piano processuale sia stata accertata l'infondatezza dell'esplosione a bordo e del cedimento strutturale. Per questo Giovanardi ha dichiarato di «condividere» l'appello del Quirinale, aggiungendo che «fra le opacità non possono essere annoverati i comportamenti degli uomini dell'Aeronautica militare italiana». E' chiaro, il problema dell'attuale governo è difendere il comportamento omertoso della lobby militare, il cinismo in stellette della ragion di Stato che ha portato a distruggere prove, far sparire i registri delle presenze nelle postazioni di controllo e i tracciati radar, tappare la bocca ai sottoposti che quella notte hanno visto cosa è accaduto in pieno Mediterraneo. Anche Giuliana De Faveri Tron, che perse la madre nella tragedia di Ustica, e che non fa parte dell'Associazione dei parenti presieduta da Daria Bonfietti, ha voluto ringraziare «il capo dello Stato per l'affettuoso messaggio» ma soprattutto il senatore Carlo Giovanardi, «per l'impegno profuso dal Governo nella ricerca di una verità troppe volte sacrificata a pregiudizi di parte». Ormai anche i familiari delle vittime sono lottizzati. Ci sono i governativi e gli antigovernativi. Il vittimismo divenuto uno dei repertori legittimi della politica non ha più un solo colore e si declina in forme partigiane opposte. Con la sua formula salomonica Napolitano non prende partito nella disputa delle "verità contrapposte", ripiegando nella retorica dei misteri. Ma se la via che può portare alla verità va cercata in quella sfera riservata che Alessandro Pizzorno chiama "nucleo cesareo della politica", Napolitano dovrebbe usare ben altri toni e trarre ben altre conseguenze. Rosario Priore, giudice istruttore che ha condotto l'inchiesta, sostiene che dietro la «verità indicibile» ci sarebbe la politica mediterranea condotta dall'Italia. Il nostro sostegno a Gheddafi, la guerra segreta con Francia e Inghilterra per l'influenza nel Nord Africa, l'intervento dei nostri piloti nei bombardamenti in Ciad, la rappresaglia francese contro i mig libici (autorizzati dall'Italia a sorvolare alcuni nostri corridoi) che dovevano scortare Gheddafi e che avrebbe involontariamente provocato la tragedia. Per Priore l'intera vicenda degli anni 70 trova spiegazione all'interno dei conflitti geopolitici, non quelli della guerra fredda ma Nord-Sud, tra rive opposte del Mediterraneo. Più che un nuovo canone storiografico sembra un'ennesima declinazione del paradigma dietrologico. La complessità proposta diventa dissolvenza. Di piste internazionali sulla strage di Ustica ne esistono diverse, quella statunitense che pochi tempo dopo bombardò il leader libico, quella israeliana (l'aviazione di Telaviv avrebbe voluto colpire un velivolo francese che portava uranio arricchito in Iraq). Tutte plausibili a rigor di logica.