Caro Fasanella,
mi è dispiaciuto il tono burocratico di quella prima risposta, ma vorrei spiegare. Se è stata usata quella formula apparentemente così fredda, non è perché il problema della signora Lia Serravalli e del figlio Silvano Burri non fosse stato preso in considerazione. Ma, vede, quando si ha a che fare con persone in carne ed ossa e con un'aspirazione lavorativa, si ha paura di ferire, e ci vuole un po' di discrezione.
In questo caso, la vicenda del ragazzo era stata indirizzata verso un esito positivo. A Silvano era stato offerto un posto di assistente di produzione in uno sceneggiato sponsorizzato dall'Apulia film commission, 2.500 euro al mese per 7 mesi. Però, siccome il lavoro comportava degli sforzi fisici, credo che non se ne sia fatto più nulla. Peccato, perché era una chance per il ragazzo, un modo per iniziare un percorso.
Di più non potevo fare, perché in un settore come il cinema e lo spettacolo, se si esercita una pressione troppo forte, potrebbe sembrare una raccomandazione, un fatto di nepotismo: saremmo andati molto al di là della legge, che prescrive interventi per i figli delle vittime di mafia o di terrorismo, non per i fratelli.
In ogni caso, tutti abbiamo un debito morale nei confronti di una famiglia così violentemente colpita. Perciò sono a disposizione per aiutare il ragazzo e dargli altre possibilità di incontro.
Io non sono in grado di catturare un desiderio legittimo di realizzazione professionale e di trasformarlo in realtà. Ma quello che posso dire è che c'è stata e continuerà ad esserci da parte mia un'attenzione su questo caso. Conosco la mamma di Silvano, lui no. Vorrei incontrarlo di persona e capire bene quali sono i suoi desideri.
Nichi Vendola