Scrivere degli anni Settanta è diventata cosa corrente. Se ne ripercorre la cronaca, si fanno valutazioni storiche che comunque risultano parziali. La ricostruzione non è facile sia perché furono anni di passioni, lotte, sangue e i protagonisti - le vittime sopravvissute più quelle che possono esserlo solo nella memoria di amici e parenti - e gli stessi osservatori finiscono inevitabilmente per dare una visione soggettiva. Ma soprattutto perché una delle componenti in conflitto proprio quella istituzionale si è dimostrata con diversi apparati misteriosa, lacunosa, reticente, colpevole. E continua a esserlo. Gli autori nella presentazione del testo lo sottolineano con decisione rifacendosi a una recente affermazione di Manlio Milani, presidente dell'associazione dei caduti di Piazza della Loggia "quando si parla di 'anni di piombo' si affronta pressoché solo la violenza brigatista mentre lo Stato dovrebbe trovare il modo di ricordare anche vittime come Giuseppe Pinelli; solo da qui si potrebbero cercare verità e riconciliazione".
Con quest'intento si muove il libro che, raccogliendo attraverso il ricordo di familiari e amici minibiografie di alcuni militanti della sinistra vittime della violenza fascista e della repressione poliziesca, punta a rivisitare taluni elementi essenziali del dna di quei giovani extraparlamentari. Non solo "anni di piombo" ma epoca d'impegno civile, sociale e politico. Anni di lotta, sicuramente dura e violenta, però con la distinzione d'una ribellione collettiva inserita in parte nella tradizione politica comunista che il Pci aveva abbandonato, per un'altra sulle strade della protesta giovanile dell'occidente. Una diversità dall'avanguardismo militarista e autocelebrativo di certo armatismo. Dalle testimonianze a volta toccanti ed emotive, in qualche tratto anche retoriche, sicuramente sentite, affettuose, dolorose più che rivendicative, scaturiscono significativi spunti che potranno risultare utili a ulteriori riflessioni e dibattiti meglio di tante interpretazioni sul politicamente corretto, che proprio corretto non fu, offerte da chi oggi indebitamente pontifica.
Gli autori sono andati alle fonti note, poi hanno raccolto e trascritto il ricordo dei parenti dei militanti scomparsi, gli amici ne hanno narrato momenti pubblici e privati evidenziando pensieri e modi di fare di una generazione. Spesso descritta come dannata, controversa perché sperimentando andava oltre i primi passi di quella "Meglio gioventù" dalla faccia pulita pronta a tendere la mano alla Firenze alluvionata come ricorda un passo della ricostruzione in celluloide del regista Giordana. Pur coprendosi il volto coi fazzoletti o dipingendoselo all'indiana quella gioventù era la stessa, solo che crebbe. Fra Paolo Rossi ammazzato dalle botte fasciste sulla scalinata di Lettere e Valerio Verbano assassinato a freddo dai Nar addirittura nella sua abitazione passano quattordici anni però non c'è differenza alcuna. Come non c'è per Piero Bruno e Walter Rossi che, come tanti militanti dei Settanta, partecipavano alle lotte proletarie per l'occupazione degli alloggi. Questo filo di contropotere, già nato con l'avanzata operaia nell'autunno caldo, si cercava di spezzare tramite la 'strategia della tensione'.
Di quegli anni di voglia di cambiare e del desiderio di soffocarla si sta perdendo traccia se è vero che una moltitudine di potenziali universitari al test d'ammissione per gli studi di storia contemporanea attribuisce le bombe di Piazza Fontana alle Brigate Rosse. E' un'ignoranza voluta dal raggiro in cui i governi d'oggi, in bella continuità con quelli occultatori degli anni Settanta e Ottanta, stanno tenendo la nuova gioventù. Ricevendo lo spalleggiamento del mondo mediatico spesso comperato e asservito e d'un revisionismo storico che dopo aver stravolto il periodo resistenziale, rivisita le lotte operaie e studentesche con intento manipolatore. Si può continuare a criticare la lotta armata o registrarne le autocritiche si deve però anche scrivere di quant'allegria e speranza c'erano nelle lotte dei Settanta. Non solo il grigiore di oscure giornate di attentati ma la luce di chi cercava vita nuova nella difesa di lavoro e salute, di emancipazione e istruzione nei corsi delle '150 ore, nei gesti semplici di mangiare e parlare in gruppo per rompere l'isolamento dell'emigrazione, nell'ascoltare gli altri e mettersi nei loro panni. Il ricordo del periodo non resta fermo alla violenza e ai morti, può proseguire trattando cose vivissime sotterrate nel tempo come le centocinquanta vite stroncate dalle stragi. Questo lavoro ha il pregio di non far dissolvere l'anima di quella bella umanità.
Enrico Campofreda, 16 ottobre 2008
EDIZIONE ESAMINATA
La piuma e la montagna, a cura di Francesco Barilli e Sergio Sinigaglia, Roma, Manifestolibri, 2008, pp. 189