Egregio Procuratore,
non diremo, come i mafiosi, niente di personale, tutt'altro. Tanto più che ci rivolgiamo a chi abbiamo definito al disopra di ogni sospetto, e lo confermiamo, citando tra l'altro il caso Priebke, e non il ritrovamento dell'armadio della vergogna, che fu episodio casuale, come gli stessi interessati sostennero, semmai, e assai più importante, il suo-tuo tentativo altamente meritorio di evitare che perdurasse intorno a quell'armadio il muro di silenzio. Per questo lo shock e il trauma o lo sconcerto, non tanto per aver rifiutato le carte che sarebbero state offerte dal procuratore federale di Dortmund. Prendiamo atto della sua-tua smentita. Ma non è questo, assolutamente, il punto. Noi in tempi diversi, e certamente assai anteriori ai dubbi espressi dallo storico e consulente della magistratura tedesca e di quella militare italiana, Carlo Gentile, le-ti chiedemmo perché la procura militare di Roma non avesse aperto autonomamente un'inchiesta che il dovere imponeva. Infatti, senza entrare nel merito strettamente giuridico - non si possono processare due volte gli stessi imputati, tanto più se sono morti - non si può non ricordare che processi veri e propri, anzi neanche parvenze di processi, furono mai fatti. Due ministri, Martino e Taviani, lo vietarono, per ragioni di Stato. L'altra inchiesta, quella dopo la scoperta dell'armadio della vergogna, fu la conseguenza delle false notizie provenienti dalla Germania per cui tutti gli imputati della strage di Cefalonia, erano passati ad altra vita. Non sappiamo se coloro che sono stati presi oggi sotto esame penale dalla procura di Dortmund siano gli stessi o meno del primo elenco. Ma non appena la procura militare di Roma ebbe la notizia che c'erano altri indagati - lo seppe attraverso la richiesta di rogatorie dei magistrati tedeschi - non doveva far altro che aprire un bel fascicolo con la solita scritta "atti relativi a...". D'altra parte richiamarsi a regole così precise, secondo noi, non è proprio il caso, datisi quei cinquant'anni di sepoltura dei fascicoli dell'inchiesta da parte della procura generale miliare, su ordine di un governo di centro destra dal 1947 in poi (ma non tanto poi). Infine un'osservazione di carattere personale: richiamarsi alla Commissione parlamentare d'inchiesta che ha osato definire, con la sua ex maggioranza, che quei fascicoli di stragi civili e militari rimasero nell'armadio per "noncuranza" dei magistrati militari e che il carteggio Martino-Taviani che portò all'insabbiamento dell'inchiesta su Cefalonia, era di "carattere personale", è quasi grottesco.
Prendiamo atto della volontà della Procura militare di Roma di riaprire "eventualmente" l'inchiesta non appena la procura di Dortmund le avrà inviato copia del provvedimento di archiviazione. Ma non sapevamo che Roma dipendesse da Dortmund: che bisogno c'è o c'era per un'inchiesta autonoma da parte dell'Italia di aspettare carte dalla Germania?
Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri, massacrato a Cefalonia insieme a svariate migliaia di altri militari della divisione Acqui.
Franco Giustolisi, giornalista, autore dell' "Armadio della vergogna".
P.S. I signori politici, i presidenti Napolitano e Prodi, nonché i ministri D'Alema. Parisi e Mastella, non hanno (ancora?) risposto a conferma della loro indifferenza, o contrarietà?, su argomenti del genere. Vanno alle celebrazioni, mettono una corona e tutto finisce lì. Ma la giustizia, cari signori, dove la mettiamo? E qualcuno deve ancora farci sapere chi, come, quando e perché decise l'armadio della vergogna, e il numero delle vittime delle stragi nazifasciste.