di Antonio Intelisano*
La lettera aperta di Marcella De Negri e Franco Giustolisi al Presidente della Repubblica e al Ministro della Difesa sulla «giustizia negata» per l'eccidio di Cefalonia (il manifesto del 22 agosto) fa riferimento, tra l'altro, alla notizia «traumatica e scioccante», secondo la quale lo scrivente, «pur essendo magistrato al di sopra di ogni sospetto», «avrebbe rifiutato nel 2003 l'offerta formulatagli personalmente» dal Procuratore federale di Dortmund, competente per i crimini commessi dall'esercito tedesco nell'ultima guerra mondiale, di «fargli avere tutte le sue risultanze sul caso, compresi i nuovi nomi degli assassini ancora in vita emersi dopo una lunga serie di indagini».
Sono risalito alla fonte della «notizia» : l'articolo di Guido Ambrosino (il manifesto dell'11 agosto), che non avevo avuto occasione di leggere in precedenza, che riassume, sotto il titolo «Una pietra sulla strage di Cefalonia» le più recenti vicende giudiziarie sull'eccidio, riferisce sull'archiviazione da parte della Procura di Monaco di Baviera (settembre 2006) relativamente al procedimento contro Otmar Mülhauser e della Procura di Dortmund (8 marzo 2007) relativamente a altri indagati.
In particolare, si legge nell'articolo, tacciando di «omissioni e di ignavia» la Procura militare di Roma, che lo scrivente avrebbe declinato l'offerta di ricevere gli atti investigativi raccolti, «con costernato stupore degli interlocutori tedeschi».
Guido Ambrosino, autore dell'articolo, non cita la fonte dell'informazione, cautelandosi dietro il verbo «sembra». Egli probabilmente è molto giovane o soffre di amnesia, perché non sa o dimentica che i crimini oggetto dei carteggi occultati nel famigerato armadio vennero alla luce grazie all'impulso dello scrivente, come accertato, tra l'altro, sin dalla prima indagine conoscitiva della Commissione Giustizia della Camera, presieduta dall'on. Anna Finocchiaro, nel corso della penultima legislatura.
E' comprensibile, pertanto, lo sconcerto di Franco Giustolisi e di Marcella De Negri, con i quali ho condiviso, nelle rispettive posizioni, una lunga battaglia civile, e che conoscono la mia storia professionale e, in particolare, l'impegno dispiegato.
La notizia è assolutamente infondata, con la più ampia facoltà di prova.
Sono persona sufficientemente avvertita per conoscere la famosa battuta, generalmente attribuita a Flaiano, secondo la quale la richiesta di rettifica di una notizia inesatta qualche volta è una notizia inesatta pubblicata due volte. Correrò il rischio. L'«estrema ratio» è una denuncia per calunnia o per diffamazione aggravata con parallela richiesta di risarcimento, che devolverò all'Associazione per la storia e le memorie della Repubblica.
In effetti il Procuratore di Dortmund, con la consulenza dello storico tedesco Carlo Gentile, da lui officiato, s'incontrò con lo scrivente a Roma, nel maggio 2003, ma non fece alcun riferimento ai presagi di difficoltà per un rinvio a giudizio in Germania né tanto meno si offerse di trasmettere, in tutto o in parte, gli atti di investigazioni al mio ufficio, che aveva attivamente e intensamente cooperato alle indagini in Italia (ricerca dei testimoni ancora in vita, in tutto il territorio nazionale, acquisizione di documentazione presso il Ministero della Difesa, esame di persone informate sui fatti ecc.).
Quanto alla ricostruzione delle vicende del fascicolo 1188, contenuta nell'articolo, archiviato «senza alcun supplemento d'indagine» nel 1996 dallo scrivente, la situazione è più complessa della sbrigativa sintesi giornalistica.
Tutti i carteggi sui crimini di guerra, che erano stati nascosti negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, sono stati singolarmente esaminati dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause e le responsabilità di quell'occultamento. Come già provato in quella sede, il carteggio 1188 costituiva «duplicato» di atti annotati nel procedimento n. 40241 conservati presso l'archivio del Tribunale militare di Roma, in quanto già definito con le sentenze del giudice istruttore militare in data 8 luglio 1957 e 14 giugno 1960.
Se Guido Ambrosino avesse tenuto conto dei principi, secondo i quali un soggetto non può essere processato due volte per lo stesso fatto (divieto del bis in idem) e la morte del reo estingue il reato, avrebbe omesso di definire «vergognosa» l'archiviazione del 1996.
Pur apprezzando, nel complesso, la tensione civile che anima l'articolo, è appena il caso di rammentare, con pacatezza, che il magistrato non è uno storico né un giornalista: la sua attività ricostruttiva mira all'accertamento di responsabilità penali e non a esprimere giudizi di altra natura e deve arrestarsi anche nel caso di estinzione del reato per prescrizione.
Quanto alla «lettera aperta», vorrei sommessamente rammentare alla signora De Negri, il cui padre, ufficiale, venne ucciso a Cefalonia, che, purtroppo, non sempre il lessico famigliare per gli affetti colpiti si concilia perfettamente con la sintassi della procedura penale.
Che fare, allora? Rassegnarsi alla «giustizia negata»? Ho già richiesto alla Procura di Dortmund copia del provvedimento di archiviazione, che non era stato comunicato al mio ufficio, neanche in estratto.
Sarà valutato insieme con quello di Monaco di Baviera. Se riscontreremo i presupposti di legge, la Procura militare di Roma farà quanto compete. Conformemente al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.
*Procuratore militare della Repubblica
Devo scusarmi con il procuratore Antonino Intelisano per l'inesatta ricostruzione del suo incontro del maggio 2003 con il procuratore Ulrich Maaß, titolare dell'inchiesta tedesca su Cefalonia, e il suo consulente storico Carlo Gentile. In quell'occasione - su questo punto Intelisano ha ragione - non ci fu un'offerta esplicita di trasmettere a Roma le nuove risultanze dell'inchiesta tedesca. Tanto meno poté quindi esserci un rifiuto a avvalersene. Ma si ribadì la disponibilità da parte della procura di Dortmund a fornire la più ampia assistenza nel caso gli inquirenti italiani avessero voluto raccogliere elementi d'indagine in Germania.
Il procuratore Maaß è grato ai colleghi italiani per la reciproca collaborazione: «Le procure militari italiane ci hanno fornito un grande aiuto nella ricerca di testimoni e di documenti in Italia. Viceversa hanno ripetutamente chiesto e avuto la nostra collaborazione, del resto dovuta, per le loro ricerche in Germania. Ma non ricordo che il procuratore Intelisano, che pure si è rivolto a noi per altre inchieste, abbia in passato avanzato rogatorie o richiesto copie di documenti per Cefalonia».
A esprimere stupore per la mancanza di iniziative italiane sulla strage di Cefalonia è lo storico Carlo Gentile: «Mi sorprende che l'autorità giudiziaria italiana non abbia ancora provveduto a aprire a sua volta un procedimento per la strage degli ufficiali alla Casetta Rossa, archiviata a Monaco nel 2006, nonostante gli elementi necessari siano noti da tempo. Lo stesso indagato Mühlhauser non ha mai smentito di aver comandato uno dei plotoni di esecuzione». L'interrogativo di Gentile è il punto di sostanza che ci sta a cuore.
Avevo scritto che in Italia il fascicolo su Cefalonia fu di nuovo «vergognosamente» archiviato nel 1996. Non difendo quell'avverbio se qualcuno lo ritiene offensivo. Avrei dovuto scrivere più propriamente che quell'archiviazione fu improvvida e - paradossalmente, a distanza di 53 anni dai fatti - affrettata. Si sorvolò infatti sulla letteratura storica apparsa nel frattempo, e sulla prima inchiesta tedesca archiviata nel 1968, che avevano offerto una quantità di spunti per nuove indagini, non solo sui vecchi nomi già noti alle inchieste italiane degli anni '50.
Infine la considerazione sulle «omissioni e l'ignavia dei governi italiani e della procura militare di Roma» si riferiva complessivamente alla mancanza di impegno a far giustizia su Cefalonia, mostrata in sei decenni dalla classe politica e dall'ufficio giudiziario competente. E non voleva in nessun modo riferirsi a questo o quel titolare dell'ufficio. Fu Sandro Pertini a denunciare già nel 1980 la «congiura del silenzio su Cefalonia», una strage dimenticata «per omertà tedesca e ignoranza italiana».
Ci conforta che il procuratore Intelisano abbia ora chiesto a Dortmund copia dell'ultimo provvedimento di archiviazione tedesco, che intenda valutarlo insieme all'archiviazione per Mühlhauser a Monaco, e che non escluda una nuova inchiesta italiana se ne riscontrerà i presupposti. Di questo impegno gli siamo grati. Sperando che non sia troppo tardi.
Guido Ambrosino