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Cefalonia guasta la festa bavarese
Guido Ambrosino
Fonte: Il Manifesto, 3 giugno 2007
3 giugno 2007

Si chiamano Gebirgsjäger, cacciatori di montagna, gli alpini tedeschi: una truppa a reclutamento regionale, nel sud della Germania. Loro simbolo è il candido Edelweiss. Tre delle loro caserme "storiche" sono a Mittenwald, nell'alta valle dell'Isar, il fiume che passa per Monaco. E a Mittenwald, ogni anno a pentecoste, i Gebirgsjäger ricordano i loro morti sull'Hoher Brendten, un'altura a ridosso delle montagne che chiudono la valle, davanti al memoriale: due pilastri protesi verso il cielo, per i soldati morti nella prima guerra mondiale, e per quelli della seconda. In mezzo una croce.
Il monumento è stato inaugurato nel 1957. E per il cinquantenario si era preparata una commemorazione solenne il 27 maggio. L'ha turbata una decina di dissidenti, intrufolatisi con due striscioni: «Il fascismo non è un'opinione, ma un reato», e «Niente tregua per i criminali nazisti». Li si è potuti leggere solo per qualche istante, prima che la polizia li facesse sparire e trscinasse via i contestatori, impedendogli di spiegare di quali crimini si tratta, crimini rimasti impuniti e spesso perfino negati. L'Hoher Brendten è zona militare, le manifestazioni sono state vietate anche sulla strada d'accesso. A nulla sono valsi i ricorsi, fino alla corte costituzionale.
Una traccia di sangue
Avrebbero voluto dire, i contestatori della commemorazione, che i Gebirgsjäger si sono lasciati dietro una traccia di sangue: massacri in Grecia, Jugoslavia e Albania, in Polonia e Unione sovietica, in Finlandia, in Italia e in Francia. Sono stati loro, precisamente quelli della prima divisione da montagna, a uccidere a Cefalonia 5000 soldati italiani, che nel settembre 1943 avevano resistito all'ingiunzione di consegnare le armi, e furono massacrati dopo la resa.
Quelli del Kameradenkreis, in Italia si direbbe "associazione d'arma", di questi crimini non parlano. Loro, spiegano in rete (www.kameradenkreis.de), sono una famiglia solidale, con i "nonni" reduci della Werhmacht hitleriana, i "padri" che hanno ricostruito la truppa sotto le bandiere della Bundeswehr e della Nato (con gli ufficiali della generazione precedente), "i figli e le figlie" che ora prestano servizio in Afghanistan (e lì si fanno fotografare in pose oscene con teschi e ossa umane).
Lo spirito di corpo impedisce una netta soluzione di continuità con il passato fascista della truppa. L'omertà militarista "nobilita" le cause più ignobili. Lo spiegò bene nel 1957 il maggiore Paul Bauer, uno degli iniziatori del monumento sull'Hoher Brendten: «Avremo cura di questo memoriale nella fedeltà ai nostri caduti, professando con orgoglio il nostro credo nell'eterno valore del loro sacrificio da soldati».
Tradizione discutibile
Membro della famiglia è il primo ministro bavarese, e presidente dell'Unione cristiano-sociale, Edmund Stoiber, sotto il cui alto patrocinio si tengono i raduni. La Bundeswehr dà volentieri una mano: mette a disposizione una banda, pullman per portare sul monte i veterani.
Ma dal 2002 i camerati non sono più indisturbati. Quell'anno per la prima volta il gruppo «Tradizione discutibile» (Angreifbare Traditionspflege) contestò il raduno a Mittenwald. Erano in corso processi e cause di risarcimento per le stragi perpetrate dai Gebirgsjäger in Grecia. A Mittenwald si parlò dei 317 civili massacrati a Kommeno e delle 79 vittime di Lyngiades: tra loro donne, anziani, bambini.
Quest'anno, in un'assemblea e in una manifestazione con la partecipazione di circa 300 persone, l'attenzione si è concentrata sul massacro di Cefalonia e le stragi commesse dai Gebirgsjäger in Italia a Camerino, a Fermo e in diverse località della Toscana - sull'onda di due vicende giudiziarie attuali.
Di Cefalonia si parla di nuovo dal luglio scorso, quando la procura di Monaco ha archiviato per presunta prescrizione l'inchiesta contro Otmar Mühlhauser, al comando del plotone d'esecuzione che fucilò gli ufficiali italiani alla Casetta rossa. Oltre a Cefalonia - crimine a suo modo unico per la perdita di ogni remora nei confronti di militari prigionieri - si diffonde la consapevolezza di altri crimini dei Gebirgsjäger in Italia. Nel settembre 2006 il tribunale militare di La Spezia ha condannato all'ergastolo Herbert Stommel, comandante di un battaglione di genieri dei Gebirgsjäger, e Josef Scheungraber, responsabile di una compagnia della stessa formazione: riconosciuti responsabili di 16 uccisioni a Falzano, nel comune di Cortona.
Ma, come per Sant'Anna di Stazzema e Marzabotto, le condanne pronunciate in contumacia da tribunali italiani non hanno finora avuto conseguenze per gli anziani reduci. Domenica 27 maggio Josef Scheungraber se ne stava tranquillo nella cerchia dei suoi camerati, al raduno sull'Hoher Brendten. Senza un'ombra di turbamento per le accuse di cui è stato riconosciuto colpevole: oltre a diverse fucilazioni, avrebbe fatto saltare con la dinamite una casa in cui aveva rinchiuso undici ostaggi. Solo un ragazzo di 15 anni si è salvato.
Quanto a Cefalonia, l'archiviazione dell'indagine sul fucilatore Mühlhauser ha suscitato una valanga di proteste per la motivazione del procuratore August Stern: dopo l'armistizio dell'8 settembre gli italiani, agli occhi della Wehrmacht, non erano «normali prigionieri di guerra, ma 'traditori'». La loro uccisione sarebbe «sostanzialmente analoga a quella di truppe tedesche che abbiano disertato e si siano unite al nemico». Quindi nessuna aggravante per «vili motivi»: e l'omicidio senza particolari aggravanti si prescrive in Germania dopo vent'anni.
Fucilazione archiviata
Il ricorso contro l'ordinanza d'archiviazione, presentato da Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri fucilato a Cefalonia, è stato respinto a febbraio, ma la vicenda non è chiusa. La signora De Negri ha chiesto all'Oberlandesgericht di Monaco un'«ingiunzione a procedere» che obblighi la procura a riaprire l'indagine. È raro che richieste di questo tipo vengano accolte.
Lo sa anche l'avvocato Michael A. Hofmann, che crede però di avere due argomenti dalla sua. Un «vile motivo» fu certamente la sete di vendetta. Lo stesso Mühlauser ammise che «gli italiani venivano allora visti da tutti come traditori. E al tradimento c'era solo una risposta, la fucilazione». Inoltre le modalità dell'esecuzione, con i prigionieri costretti a assistere per ore all'uccisione dei loro compagni, furono «particolarmente atroci», un'altra aggravante che inibirebbe la prescrizione.
A pentecoste, a Mittenwald, c'erano tre appartenenti all'associazione nazionale della divisione Acqui: Marcella De Negri col fratello Enzo, e Paola Fioretti, figlia del tenente-colonnello Giovanni Battista Fioretti, capo di stato maggiore della divisione Acqui, pure lui ucciso a Cefalonia. Hanno raccontato a un pubblico attento e solidale, venuto da altre parti della Baviera e dal nord della Germania, quel che successe sull'isola. Con loro c'era il partigiano dell'Elas Nikos Fokas, che fu testimone della carneficina e aiutò gli italiani superstiti.
Davanti alla chiesa lo scorso weekend si sono letti migliaia di nomi delle vittime di Cefalonia, Kommeno, Lyngiades. «Per noi è stato il momento più commovente», dice Marcella De Negri, che constata però il difficile incontro con la popolazione di un paese che vive della caserma dei Gebirgsjäger, oltre che di turismo. «Ho distribuito per strada il materiale informativo preparato dagli amici tedeschi, ma in un'ora solo tre persone si sono avvicinate».
Lo storico Stefan Stracke, uno degli organizzatori, conferma: «Per i mittenwaldesi siamo dei forestieri o, come dicono in Baviera, 'prussiani', gente di un altro pianeta. Solo qualche giovane è venuto a sentirci». Ma anche se non ci si vuole mostrare per strada insieme ai critici della tradizione militare, i volantini circolano, nelle case se ne parla. E se non si è riusciti a nominare Cefalonia sull'Hoher Brendten - ragazzi con quel nome sulle magliette sono stati fermati per strada dalla polizia - l'isola è ormai nota a Mittenwald.
Visite a domicilio
Resta il problema dell'impunità per il fucilatore di Cefalonia, Mühlhauser, e per altri suoi commilitoni, su cui da anni la procura di Dortmund indaga senza arrivare a nessuna conclusione. E della mancanza di conseguenze per i condannati in Italia. Che fare?
Gli "antitradizionalisti" hanno deciso di porre il quesito nei quartieri dove abitano due degli interessati. Venerdì 25 maggio, in cinquanta, hanno parlato di Cefalonia davanti alla casa dell'86enne Otmar Mühlhauser a Dillingen, sul Danubio a nord-ovest di Augusta. E hanno parlato della strage di Falzano a Ottobrunn, nei pressi di Monaco, dove abita Josef Scheungraber, 88anni. I vicini non ne sapevano nulla. Ora sarà più difficile per quegli anziani concittadini far finta di niente.
La condanna di Scheungraber non è definitiva. Pende un ricorso in appello. Diversa la situazione per tre condannati per Sant'Anna di Stazzema, che non hanno impugnato la sentenza. "Per loro abbiamo chiesto l'arresto, in base alle nuove norme sul mandato di cattura europeo", ci ha detto il procuratore militare di La Spezia, Marco De Paolis.
In passato sentenze pronunciate in contumacia non venivano riconosciute dalla Germania. D'altra parte bisognava procedere in assenza degli imputati, perché la costituzione escludeva tassativamente l'estradizione all'estero di cittadini tedeschi. Ora la costituzione è stata modificata. L'estradizione è ammessa per i paesi dell'Unione europea e per le corti di giustizia internazionali. Per le sentenze già pronunciate è prevista l'esecuzione in Germania, che, vista l'avanzatissima età dei condannati, non andrà oltre gli arresti domiciliari. Questa la teoria. In pratica grande è l'imbarazzo della magistratura tedesca. Alle tre richieste di arresto italiane o non ha ancora risposto, o ha reagito chiedendo supplementi di documentazione.