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Piazza Fontana 44 anni dopo
Fortunato Zinni
12 dicembre 2013

Ad ogni condanna, assoluzione, avocazione, annullamento,archiviazione, il labirinto paranoico di dispute giuridiche e dottrinarie, che da 44 anni accompagna il più ignobile laboratorio di impunità giudiziaria mai concepito dalla democrazia si fa sempre più aggrovigliato ed incomprensibile.
Il gioco è fin troppo scoperto. E' ormai chiaro a tutti che a renderlo inestricabile sono proprio quelli che dovrebbero districarlo.
Generali felloni e spioni di stato, instancabili nel tessere e disfare una tela di Penelope logora e consunta, una opinione pubblica distratta ed assente, una stampa connivente con i potenti di turno, un Parlamento ignavo e ottusamente arroccato a difendere il segreto politico militare, hanno, finora consentito ai burattinai ed a una magistratura ossequiente, (sappiamo che i responsabili sono i nazifascisti, ma non li possiamo condannare perché li abbiamo già assolti) di costruire, negli anni, una mostruosità giuridica che, tra emozioni, speranze, dolori e certezze ha prodotto e continua a produrre sabbia , solo sabbia. Il sangue della storia asciuga in fretta e la sabbia è quella che in ogni caso serve ad asciugare.
Sono stati i depistaggi e le connivenze che, per quasi mezzo secolo, hanno scandito il percorso dei processi di piazza Fontana e hanno generato: bombaroli che diventano opinionisti, legali che passano dalla difesa delle vittime a quella degli imputati, fantasiose doppie bombe per riproporre la stantia teoria degli opposti estremismi, poliziotti capaci per alcune procure, inconcludenti e pericolosi per altre, feroci lotte intestine tra procure e tra magistrati, con gli immancabili corifei della stampa schierati per gli uni e per gli altri, pronti ad alimentare il solito teatrino delle parti nei salotti televisivi. Un museo degli orrori senza fine.
Anzi no, la Procura di Milano lo scorso 30 settembre , con l'archiviazione della richiesta di riapertura delle indagini, delle famiglie delle vittime, usando come un macigno la sentenza tombale della Cassazione, ha tentato di seppellire definitivamente ogni speranza di verità. Per quanto mi riguarda quell'archiviazione è uno stimolo in più per continuare a lottare.
Il tono di resa di quella sentenza è un chiaro invito a piantarla. A non continuare ad insistere sull'accanimento giuridico,
Non sono tra quelli che vuole una condanna a tutti i costi.
Come sindaco ho fatto parte delle istituzioni e rispetto le sentenze.
Ad alcuni magistrati coraggiosi ho dedicato il mio libro "Piazza Fontana nessuno è Stato" e sono consapevole delle difficoltà che gli inquirenti e gli organi giudicanti hanno dovuto affrontare per districarsi tra una marea di carte .
Si può e si deve accettare anche una sconfitta della giustizia umana, ma per piazza Fontana il fallimento della giustizia è principalmente colpa dello Stato che non ha voluto accettare di processare se stesso e di questo, purtroppo nella sentenza del gip D'Arcangelo non c'è traccia.
I magistrati della procura di Milano ( quella del "malore attivo" di Pinelli), sanno meglio di me che i delitti per stragi sono imperscrittibili, l'azione penale è obbligatoria e l'impegno a continuare a cercare la verità non può scadere nella rassegnazione.
Lo Stato non ha saputo, potuto, voluto fare giustizia .
Voglio tentare di spiegare il mio malessere attraverso un pacato e civile ragionamento.
Nel suo provvedimento, di una novantina di pagine, il gip ha illustrato i motivi per i quali ha accolto la richiesta avanzata dalla Procura di Milano, nel maggio del 2012,
In linea con i pubblici ministeri Grazia Pradella, Maurizio Romanelli e con l'ex procuratore Armando Spadaro, il gip ha ritenuto che la nuova indagine, su quattro spunti investigativi , ma a carico di ignoti - avviata dopo il 2005 con l'assoluzione in Cassazione del trio di Ordine nuovo: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, condannato in primo grado all'ergastolo e assolto dalla Corte d'Appello, non abbia raccolto prove sufficienti per riaprire le indagini ed arrivare ad individuare nuovi responsabili di quella strage.
" Tra i filoni investigativi - ha commentato, a nome delle famiglie delle vittime, l'avvocato Federico Sinicato - c'erano importanti elementi di novità che, secondo noi aprivano delle concrete possibilità di indagine. Non smetteremo di cercare la verità e di raccogliere altri elementi per arrivare a scoprire i responsabil".

Si perpetua ancora una volta, l'onnipresente equivoco sulla verità.
Certo in uno Stato di diritto, la verità processuale, è determinata dalle prove esibite durante il processo.
"Il giudice - ha scritto il gip nella sentenza - non può usare lo strumento del processo per fare lo storico, scambiando per «indizi» quelli che sono solo «meri sospetti», e nemmeno può fare lo psicologo di massa che con indagini esplorative lenisca nell'opinione pubblica «la generale insoddisfazione giuridica e sociale» per il fatto «che, a distanza di oltre 40 anni e dopo la celebrazione di vari processi, per la strage di piazza Fontana non ci sia alcun colpevole punito.
Tecnicamente è giusto ma quando si tratta di fatti storici che si scontrano con la verità giudiziaria allora non è più giusto.
I fatti e le notizie spesso camminano su due strade parallele senza mai incontrarsi.
Non, se le informazioni diffuse , come pare di capire lo sono con un intento preciso di far percepire altro.
"Non può costituire - rileva ancora il gip milanese - una ragione sufficiente per protrarre all'infinito indagini, prive di serio fondamento, specie se nei confronti di persone decedute o già giudicate», o su «possibili modalità di esecuzione della strage irrilevanti o fantasiose».
Occorre prenderne doverosamente atto
Solo che le "indagini prive di fondamento" segnalati dall'avvocato dei familiari delle vittime sono gli "spunti investigativi " contenuti in un dossier depositato nel 2009, presso le Procure di Milano e di Brescia, dal tenente colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo. del Comando Unità Mobili e Specializzate Carabinieri "Palidoro
Il malessere nasce dalla constatazione, rilevata da tutti gli osservatori, che a differenza dei magistrati bresciani, la Procura di Milano non si è limitata a liquidare le citate investigazioni come "irrilevanti e fantasiose" ma ha voluto anche far percepire altro.
E' piuttosto raro vedere dei magistrati mettere pubblicamente alla berlina un investigatore, che peraltro, ha indagato per decenni su molte vicende italiane e sta tuttora conducendo delicate indagini sullo stragismo e sulla mafia,
Massimo Giraudo era stato il principale collaboratore di Guido Salvini, nella prima fase dell'istruttoria milanese , poi con il nuovo rito, le risultanze delle sue indagini erano state trasferite ai pubblici ministeri Pradella e Meroni, che avevano chiesto il rinvio a giudizio di Zorzi, Maggi e Rognoni.
E' risaputo che all'interno della Procura di Milano, dopo la riapertura delle nuove indagini sulla strage di piazza Fontana, agli inizi degli anni '90, non tutti avessero remato nella stessa direzione. Lo stesso giudice istruttore Guido Salvini nella sua richiesta di rinvio a giudizio del febbraio 1998, con parole amare, sottolineò lo «scarsissimo sostegno dei dirigenti del Tribunale di Milano», in «silenzio» a fronte di sollecitazioni e «decine di segnalazioni scritte», come se «l'istruttoria non esistesse».
In Commissione stragi, negli anni 90, i dirigenti della Procura sollevarono dure contestazioni verso le risultanze emerse nel corso dell'inchiesta, sostenendo, tra l'altro, l'infondatezza di qualsiasi collegamento con i Servizi Segreti stranieri, circa la strage.

Il gip Fabrizio D'Arcangelo ci ricorda che il giudice non può usare lo strumento del processo per fare lo storico, ma non può certo ignorare che, per 36 anni, con i suoi discussi e reiterati interventi. è stata la Cassazione a scrivere la Storia,.
Il 28 aprile 2005, nella sua requisitoria, davanti alla seconda sezione penale sella Cassazione, il procuratore generale Enrico Delehaye, sia pure «con rammarico» e parlando di «sconfitta investigativa», chiedendo la no conferma le assoluzioni per gli imputati nazifascisti disse: «Mi dolgo di occuparmi ora, a così tanti anni di distanza dal fatto, della strage di Piazza Fontana perché non ritengo che la Cassazione sia la sede più adatta per accertare la verità, quando la verità non è stata accertata nelle fasi precedenti di giudizio. E che la luce sulla verità dei fatti sia mancata mi pare evidente, tant'è che abbiamo avuto due verdetti di merito completamente opposti».
Se non è un pesante giudizio storico questo, che cos'è?
C'è un fermo immagine straniante che ben illumina la distanza siderale tra le speranze di giustizia delle vittime e dei cittadini di questo Paese e la burocratica insofferenza delle sue istituzioni verso la ricerca della verità giudiziaria su quei tragici anni che hanno insanguinato il paese e della sua consolidata tendenza a rifugiarsi nella comoda e onnicomprensiva verità storica,
All'inizio del dibattimento presso la Cassazione, il citato rappresentante della pubblica accusa, , si alza dal suo scranno per affermare, in pochi minuti d'imbarazzata requisitoria, di essere stato incaricato di quel fondamentale ruolo, solo pochi giorni prima, in sostituzione di un altro magistrato, e di scusarsi di non poter sufficientemente approfondire i temi del processo essendosi, tuttavia, convinto dell'impossibilità di raggiungere una sufficiente certezza giuridica sulla responsabilità di quegli imputati.
E' legittimo il sospetto che la magistratura italiana non abbia alcuna voglia di rimuovere la pietra tombale posta sulla vicenda giudiziaria della madre di tutte le stragi.

«La strage di Piazza Fontana dopo 36 anni non ha un colpevole - sono ancora le parole di Enrico Delehaye a conclusione della sua requisitoria - «e purtroppo con i limiti del giudizio di legittimità non si può concludere diversamente. Ma non si può nemmeno sostenere, come ha fatto il procuratore di Milano nel ricorso, che due persone assolte con sentenza passata in giudicato - Freda e Ventura - siano i responsabili di un reato».
Purtroppo, al danno di dichiarare ufficialmente impunita la strage, la Suprema Corte ha aggiunto la beffa di condannare i familiari delle vittime a pagare le spese processuali.
Secondo la Cassazione non furono i tre neofascisti a mettere la bomba che devastò un venerdì pomeriggio la sede della Banca dell'Agricoltura.
Non furono loro, in combutta con i "servizi deviati" e con spezzoni della Cia a trafugare l'esplosivo e a infilare l'esplosivo in una borsa, piazzata sotto un tavolo della banca.
Si sa tutto, ogni minimo dettaglio della strage, delle coperture, delle complicità, che diedero avvio alla cosiddetta "strategia della tensione".
Tutto tranne i colpevoli».

Eh già, i colpevoli non ci sono, ma le vittime sì, quelle sono certe e quindi, visto che nel dibattimento i loro rappresentanti hanno perso, paghino.
Assieme a loro paghino tutte le altre parti civili: presidenza del Consiglio, ministero dell'Interno, Comune e Provincia di Milano, Provincia di Lodi.

La verità giudiziaria non si esaurisce sempre nella condanna dei singoli responsabili
"I giudici non possono scrivere la storia né lenire l'insoddisfazione del'opinione pubblica" ha scritto il gip D'Arcangelo.
Ma sono state le sentenze con i loro dispositivi a costruire la verità storica ed a sancire che i colpevoli ci sono, sono ben individuati, sono quelli di Ordine Nuovo, solo che non si possono condannare perche la stessa Cassazione, in precedenza, li ha assolti.
Giustizia è fatta.