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La Strage di Piazza Fontana
Fonte: http://www.clarence.com
(da Fabrizio Calvi e Frédéric Laurent, Piazza Fontana - La verità su una strage, Mondadori) - articolo riadattato.

Scheda a cura di Sonia e Sandro, del collettivo Borgorosso - Piacenza

Milano, 12 dicembre 1969, ore 16,30

Esplode una bomba nel salone degli sportelli della Banca Nazionale dell'Agricoltura, al numero 4 di piazza Fontana. Ha inizio una nuova era tragica.

I terroristi non avrebbero potuto scegliere un momento migliore: la banca è infatti gremita per il "mercato del venerdì", che richiama gli agricoltori delle province di Milano e Pavia. L'ordigno è stato collocato in modo da provocare il massimo numero di vittime: sotto il tavolo al centro del salone riservato alla clientela, di fronte all'emiciclo degli sportelli. I locali devastati testimoniano la potenza dell'esplosivo impiegato.

L'attentato causa sedici morti, di cui quattordici sul colpo, e ottantotto feriti. La storia dirà se la strage di piazza Fontana, inaugurando la strategia della tensione, ha determinato i dieci anni più bui della vita politica italiana.

Nelle ore che seguono gli attentati, vengono compiute perquisizioni nelle sedi di tutte le organizzazioni dell'estrema sinistra. Viene visitata anche qualche organizzazione d'estrema destra, ma senza molta convinzione, visto che le indagini risparmiano Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale, le più importanti. Fin dall'indomani, come preparata in anticipo, parte un'incredibile campagna contro gli estremisti di sinistra. Le indagini sono di una stupefacente rapidità; in tre giorni viene arrestata una decina di persone sulle quali, come dichiara la polizia, "gravano pesanti indizi". Sono tutti anarchici dei circoli Bakunin e 22 Marzo. Tra di loro vi sono: Giovanni Aricò, Annelise Borth, Angelo Casile, Roberto Mander, Emilio Borghese, Mario Merlino, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Per la polizia, insomma, oltre a quella anarchica, nessun'altra pista merita di essere presa in considerazione.

Iniziano gli interrogatori. Sono condotti con energia. Il 15 dicembre, a mezzanotte, nel cortile della questura di Milano, un corpo s'infrange quasi senza rumore ai piedi di un giornalista. È Giuseppe Pinelli, uno degli anarchici arrestati tre giorni prima, caduto senza un grido da una stanza del quarto piano. Causa ufficiale della morte: suicidio. Non ci crederà nessuno... Tra gli anarchici fermati subito dopo la strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, il commissario Calabresi sembra interessarsi a una sola persona: Pietro Valpreda, di professione ballerino. Il giovane grida la propria innocenza. Essa non sarà riconosciuta che molto tempo dopo. Eppure, già all'epoca, tutto denunciava l'esistenza di una "pista nera", che verrà esplorata solo tardivamente.

15 dicembre 1969

Guido Lorenzon segretario di una sezione della Democrazia cristiana, si presenta da un avvocato della città dichiarando di essere a conoscenza di fatti che potrebbero essere in rapporto con gli attentati. Due giorni prima, cioè all'indomani delle esplosioni, ha avuto con l'editore Giovanni Ventura (amico di vecchia data), una conversazione che, da allora, l'ossessiona. Le informazioni che Ventura gli ha fornito sugli attentati sono state troppo precise e circostanziate perché possa essere totalmente estraneo alla strage.

Già in precedenza Ventura gli aveva parlato con la stessa precisione dei dieci attentati ai treni compiuti nel Nord Italia nella notte tra l'8 e il 9 agosto 1969. E gli aveva anche confidato di appartenere a un'organizzazione clandestina che progettava un colpo di stato mirante a instaurare un regime ispirato alla Repubblica di Salò. Fino a quel momento Lorenzon aveva taciuto. Dopo la strage di Milano non poteva più farlo: nell'ultima conversazione con Ventura, infatti, gli era parso di capire che questi stesse preparando altri sanguinosi attentati.

Il giorno dopo, in compagnia dell'avvocato, Lorenzon ripete la sua testimonianza di fronte a un magistrato di Treviso, il procuratore Pietro Calogero. Con l'aiuto di Lorenzon, che continua a frequentare Ventura, in qualche settimana Calogero raccoglierà una serie di solidi indizi contro quest'ultimo e un suo amico, Franco Freda, un avvocato di Padova ben noto nella regione per le sue opinioni neonaziste.

Franco Freda, poco più anziano di Ventura, grande ammiratore di Hitler e delle ss, fanatico antisemita, ha fatto la gavetta, come Ventura, nell'msi, di cui all'inizio degli anni Sessanta ha diretto l'organizzazione universitaria (fuan). Più tardi ha fondato i Gruppi d'aristocrazia ariana (Gruppi ar), vicini a Ordine Nuovo.

Giovanni Ventura, cresciuto nella nostalgia di Mussolini, s'è iscritto all'msi giovanissimo. Nel 1965, trovando questo movimento troppo moderato, entra in Ordine Nuovo, la cui politica più energica meglio corrisponde alle sue aspirazioni.

Novembre 1971

Un muratore, nell'eseguire alcune riparazioni sul tetto di una casa di Castelfranco Veneto, sfonda per errore il tramezzo divisorio di un'abitazione di proprietà di un consigliere comunale socialista, Giancarlo Marchesin, e scopre un arsenale di armi ed esplosivi, tra cui, in particolare, casse di munizioni siglate nato. Arrestato, Marchesin dichiara che quelle armi sono state nascoste lì da Giovanni Ventura qualche giorno dopo gli attentati del 12 dicembre, e che prima si trovavano presso un certo Ruggero Pan.

Interrogato a sua volta, Pan rivela che durante l'estate del 1969, dopo gli attentati ai treni, Ventura gli aveva chiesto di comprare delle casse metalliche tedesche di marca Jewell. Quelle di legno usate per collocarvi gli esplosivi negli attentati, aveva spiegato l'editore, non avevano prodotto l'effetto di "compressione esplosiva del metallo". Pan si era rifiutato. Il giorno dopo, notando da Ventura una cassetta di metallo, aveva capito che qualcuno era andato a comprarla al posto suo.

Pan aveva dimenticato l'episodio fino al 13 dicembre 1969, giorno in cui la televisione e i giornali avevano mostrato la riproduzione di una delle cassette impiegate negli attentati alle banche. Era una Jewell, identica a quelle acquistate da Freda e Ventura.

I magistrati di Treviso scoprono inoltre che il gruppo teneva le sue riunioni nella sala di un istituto universitario di Padova messa a sua disposizione dal custode, Marco Pozzan, braccio destro di Franco Freda.

Sottoposto dagli inquirenti, il 21 febbraio e il 1° marzo 1972, a due lunghi interrogatori, Marco Pozzan spiega che il piano, preparato da tempo, aveva ricevuto il via libera nel corso di una riunione notturna svoltasi a Padova il 18 aprile 1969. Dapprima reticente sull'identità di due dei partecipanti alla riunione, arrivati la sera stessa da Roma, Pozzan, dopo qualche esitazione, rivela il nome di uno di loro: Pino Rauti, all'epoca capo del movimento Ordine Nuovo. Quanto al secondo, assicura di saperne solo ciò che gli ha detto Franco Freda: "È un giornalista ed è membro dei servizi segreti...".

I magistrati, in verità, erano già a conoscenza di questa riunione grazie alle intercettazioni cui avevano sottoposto il telefono di Freda. Quello che ignoravano era l'importanza capitale che essa aveva avuto nell'organizzazione degli attentati del 1969.

3 marzo 1972

Franco Freda, procuratore legale a Padova, Giovanni Ventura e Pino Rauti, dirigente nazionale dell'msi e fondatore del movimento Ordine Nuovo, vengono arrestati. Sono accusati di aver organizzato gli attentati del 25 aprile 1969 (alla Fiera e alla Stazione Centrale di Milano) e dell'8 e 9 agosto dello stesso anno (a danno di alcuni treni). Il 21 marzo, aggiungendo ai capi d'imputazione contro il gruppo Freda-Ventura gli attentati del 12 dicembre 1969, il giudice Stiz trasmette il fascicolo, per competenza territoriale, alla procura di Milano.

A proseguire le indagini sono designati tre nuovi magistrati la cui prima iniziativa è rimettere in libertà Rauti, senza però far cadere il capo d'accusa.

Riprendendo le indagini da zero, i tre magistrati milanesi raccolgono in qualche mese una serie di prove decisive contro il gruppo Freda-Ventura e, nello stesso tempo, dimostrano che i poliziotti e i giudici che si sono precipitati sulla pista anarchica hanno commesso numerose irregolarità.

Una nuova perizia sui vari frammenti di esplosivi, sui timer e sulle borse contenenti le bombe ritrovati il 12 dicembre 1969 sul luogo degli attentati permette di accertare tre fatti importanti:

1) le bombe sono costituite da candelotti identici agli esplosivi nascosti da Ventura, qualche giorno dopo gli attentati, in casa dell'amico Giancarlo Marchesin;

2) i meccanismi di scoppio ritardato delle bombe provengono da una partita di cinquanta timer acquistati il 22 settembre 1969 da Franco Freda in un negozio di Bologna. Freda spiegherà ai magistrati di aver comprato i timer su richiesta di un fantomatico capitano Mohamed Selin Hamid dei servizi segreti algerini, per conto della resistenza palestinese. Da una verifica compiuta presso le autorità algerine risulta che questo capitano non esiste;

3) le borse in cui si trovavano le bombe erano state acquistate, due giorni prima degli attentati, in una pelletteria di Padova. Qualche giorno dopo, confrontando due foto della borsa di pelle ritrovata intatta alla Banca Commerciale Italiana, il giudice D'Ambrosio nota una differenza. Nella prima, scattata la sera stessa degli attentati, dal manico pende ancora l'etichetta del prezzo. Nella seconda, scattata un mese più tardi, l'etichetta e la cordicella cui era attaccata sono scomparse. Ancora una volta, qualcuno è intervenuto a sopprimere delle prove.

Ormai convinti di avere in mano, con Franco Freda e Giovanni Ventura, i personaggi chiave degli attentati, i magistrati milanesi si applicano a scoprire chi siano, dietro i due uomini, i veri ispiratori della strategia della tensione. L'istruttoria verrà abbattuta in volo nel 1974 dalla decisione della Corte di Cassazione di sottrarre loro indagini che dirigevano da due anni con coraggio esemplare. L'istruttoria viene trasferita a Catanzaro, dove erano già stati spostati l'inchiesta e il processo Valpreda per "motivi di ordine pubblico". A Catanzaro esse vengono affidate a due magistrati locali che, senza che si possa mettere in dubbio la loro onestà, non seguiranno mai le "piste nere" con l'ostinazione dei predecessori.

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Da: http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2004/un10/art3164.html
(Umanità Nova, numero 10 del 21 marzo 2004, Anno 84 - articolo di Luciano Lanza)

La sentenza di appello per la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) non è scandalosa come molti dicono e scrivono: è la regola. Ripristinata. Dopo poche anomalie. Piccole e parziali.

I fatti. Il 12 marzo la corte d'appello di Milano ha assolto dal reato di strage (ergastolo) Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni quali responsabili dell'attentato che più di 34 anni fa causò 16 (più uno) morti e 84 feriti nella Banca nazionale dell'agricoltura. Nel giugno 2001 i tre erano stati condannati all'ergastolo. In più Stefano Tringali si era beccato tre anni per favoreggiamento. Ironia della sorte: è l'unico colpevole con una pena ridotta a un anno. Ma se non ci sono colpevoli per chi ha fatto favoreggiamento? Misteri della giustizia italiana. O meglio non ci sono misteri, c'è soltanto la volontà di "chiudere" una pagina che vede lo stato italiano come colpevole di complotti e stragi.

Perché è la regola in questo criminale affare? Molto semplice. Perché fin dallo scoppio di quelle bombe (una a Milano e due a Roma) gli apparati dello stato hanno fatto di tutto per depistare e occultare la verità. Ricordate? All'inizio il mostro che aveva messo la bomba era un anarchico, Pietro Valpreda, ma non solo anarchico anche ballerino, quindi uno spostato, un diverso con la bramosia del sangue e della rivoluzione. E da lì una campagna (ossessivamente orchestrata, neppure troppo intelligentemente, ma mediaticamente martellante) contro gli anarchici e la sinistra "rivoluzionaria". Con un contorno altrettanto drammatico: il "volo" di un anarchico milanese, Giuseppe Pinelli, dal quarto piano della questura di Milano. Ebbene quella montatura aveva funzionato per poco tempo, poi un oscuro giudice veneto di Treviso, Giancarlo Stiz se ne era uscito con un mandato di cattura contro due neonazisti: Franco Freda e Giovanni Ventura. Per Stiz erano loro i responsabili, non Valpreda, di quella strage.

Prima anomalia. Che contraddiceva l'istruttoria "istituzionale" dei magistrati romani Ernesto Cudillo e Vittorio Occorsio. I due avevano puntato subito (e come mai?) su Valpreda e sui suoi compagni del circolo 22 marzo. Da lì una sequenza di processi che definire ridicoli è poca cosa. Il 23 febbraio inizia il processo per la strage che vede sul banco degli imputati sia gli anarchici Valpreda e i suoi compagni (con un'aggiunta di Mario Merlino, nazista infiltrato nel gruppo 22 marzo) sia i nazisti Freda e Ventura. Tutti insieme appassionatamente per confondere le acque (la consunta, ma sempre sbandierata teoria degli "opposti estremismi") e non far capire che cosa è veramente successo. Ma il 6 marzo i magistrati romani (responsabili della montatura, ricordiamoli: Occorsio e Cudillo) capiscono che non ce la faranno ad andare avanti. Il processo viene così spostato a Milano: il luogo della strage. Il luogo dove, secondo le leggi dello stato italiano, si sarebbe dovuto tenere fin dall'inizio il processo. Ma che succede? Il procuratore generale del capoluogo lombardo, Enrico De Peppo, sostiene che Milano è una città in mano ai "rossi": legittima suspicione. Il processo viene dirottato (esiliato?) a Catanzaro. Ma bisognerà aspettare quasi dieci anni dalla strage (23 febbraio 1979 per arrivare alla prima sentenza. Freda e Ventura vengono condannati all'ergastolo per strage, Valpreda e compagni assolti (insufficienza di prove), ma condannati per associazione a delinquere. C'è però una postilla interessante. I giudici di Catanzaro rinviano a Milano gli atti che riguardano gli ex presidenti del consiglio Giulio Andreotti e Mariano Rumor e gli ex ministri Mario Tanassi, difesa, e Mario Zagari, giustizia. Dire che i quattro uomini politici escono quasi subito dal processo è come raccontare una di quelle vecchie barzellette che tutti conoscono. E infatti finisce come tutti già si aspettavano: "Scusate il disturbo".

E, di processo in processo, arriviamo al 27 gennaio 1987 in cui la prima sezione della Cassazione chiude la questione: nessun responsabile per la strage di piazza Fontana. Anarchici e nazisti sono innocenti. O meglio, rimane il fatto che per Freda e Ventura è confermata la condanna a 15 anni per gli attentati alla Fiera campionaria e alla stazione Centrale di Milano del 25 aprile 1969 e, sempre nello stesso anno, degli attentati ai treni (dieci bombe, otto esplose) tra l'8 e il 9 agosto.

Particolare non irrilevante: quei due attentati, inizialmente attribuiti agli anarchici, erano serviti per costruire il "teorema anarchico" di piazza Fontana. Che poi la responsabilità processuale venga definitivamente attribuita ai nazisti non sembra più rilevante.
Capacità dialettica della magistratura italiana.

Arriviamo a un'altra delle poche anomalie che contrassegnano questa vicenda. Il giudice istruttore Guido Salvini nel 1987 apre una nuova inchiesta sull'eversione di destra e sulla strage di piazza Fontana.

Un'inchiesta che nel 1995 arriva a un'ordinanza di rinvio a giudizio contro una serie di terroristi neonazisti. Ma bisognerà aspettare il giugno 2001 per assistere alla condanna all'ergastolo di Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni e Carlo Maria Maggi. Più la condanna di tre anni a Stefano Tringali per favoreggiamento.

Anche l'anomalia creata da Salvini si è chiusa. Sepolta dalla volontà di non avere colpevoli per quella strage. E quando mai avete visto uno stato che condanna se stesso?

Perché la strage di piazza Fontana è stata realmente una strage di stato come la definirono gli anarchici del Ponte della Ghisolfa il 17 dicembre 1969 in una conferenza stampa che gli organi di stampa definirono "farneticante". Strage di stato perché vi troviamo coinvolti ministri, segretari di partito, servizi segreti italiani (tutt'altro che deviati, ma obbedienti agli ordini dei responsabili della politica) e servizi segreti esteri (americani e israeliani).

Per chi non ha vissuto quel periodo vale la pena ricordare che allora la classe dirigente italiana temeva uno spostamento a sinistra dell'asse politico nazionale, un cambiamento non voluto e osteggiato con tutti i mezzi. Anche con le bombe e i morti. Fu messa in atto una strategia che "doveva portare, nelle intenzioni degli esecutori, a un regime autoritario, ma che è stata gestita dai più alti organi dello stato per mettere fuori gioco gli avversari politici e per creare un clima di paura che perpetuasse la centralità della Democrazia cristiana e dei suoi alleati".

Oggi, tornati alla ribalta i successori della Democrazia cristiana (Forza Italia più satelliti), la strage di piazza Fontana deve tornare nel dimenticatoio. Se ne riparlerà fra alcuni anni, quando saranno passati quasi quarant'anni dalla strage. E allora sarà ancora di più e soltanto storia. Riveduta e corretta. Secondo i dettami del revisionismo imperante.

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Associazione:
"Associazione Familiari vittime della strage di Piazza Fontana"
Presidente: LUIGI PASSERA