Il film di Marco Tullio Giordana "Romanzo di una Strage" ha passato il primo week end di programmazione (i dati dicono di un lusinghero quinto posto con un incasso di 533.428 euro). Un esordio accompagnato da una pioggia di polemiche che colpiscono soprattutto il libro dal quale ha tratto una libera interpretazione. Così come nei vecchi film d'essai, dopo la proiezione segue il dibattito (un parlare fitto che, a mio avviso, sortisce solo l'effetto di essere una pubblicità insperata per il film).
Ho visto il film in occasione dell'anteprima nazionale di lunedì 26 marzo a Milano a fianco di Manlio Milani, la famiglia Pinelli e i famigliari delle vittime di Piazza Fontana e anche dopo le prese di posizioni di chi quegli anni li ha vissuti in prima persona (Corrado Stajano e Adriano Sofri per citarne alcuni) rimango della mia opinione: il film mi è piaciuto. Non solo per la bravura degli attori (definirlo, come ha fatto qualcuno, un cine-panettone mi sembra ingeneroso), ma anche per la costruzione della storia che ha saputo conciliare filoni di indagini tra loro non legati (gli ordinovisti veneti e gli anarchici, le vite famigliari di Pinelli e Calabresi, la politica e i servizi deviati). La riduzione per lo schermo di fatti di cronaca ci ha abituato a libere interpretazioni e licenze poetiche che hanno stravolto il senso delle cose (nella fiction sul sequestro di Giuseppe Soffiantini, tanto per fare un esempio, il capo della squadra mobile di Brescia per ragioni di copione cambiò sesso per essere interpretato da Claudia Pandolfi). In Romanzo di una Strage non mi sembra che questo sia accaduto nonostante le fragilità del canovaccio (il tanto contestato libro di Paolo Cucchiarelli) e nonostante le difficoltà di rendere semplice una vicenda particolarmente complicata.
Certo, la teoria della doppia bomba è una tesi ardita che forse poteva essere risparmiata, ma nel racconto non rappresenta nè il fulcro nè il colpo di scena della narrazione. Chi in questi anni ha conosciuto e seguito fatti e circostanze è uscito dalla sala non qualche motivo di insoddisfazione, ma viene da chiedersi se si aspettasse da Marco Tullio Giordana un film o un documentario, una fiction o uno speciale alla Lucarelli. Io mi aspettavo un film che raccontasse, senza troppi ammiccamenti alla lacrima facile o all'epica, quegli anni difficili. Mi aspettavo un'opera che facesse divulgazione attirando l'attenzione dello spettatore, che parlasse alle nuove generazioni riuscendo a dipanare una matassa che in decenni di inchieste e controinchieste si è fatta sempre più complicata.
Io credo (e in questo sono d'accordo con Manlio Milani) che Marco Tullio Giordana e i suoi bravi attori abbiano fatto un buon lavoro, bello da vedere, cinematograficamente parlando, e utile per chi rincorre da anni linguaggi efficaci per perpetuare la memoria. Le diatribe tra gli esperti, tra i cultori della materia, ben vengano, ma rappresentano altro rispetto al valore di un film che non sarà indimenticabile, forse, ma che sicuramente sarà utile a diffondere la conoscenza e la coscienza civile.