Quando la finzione incontra la realtà può anche accadere che il Pino Pinelli dello schermo (Pierfrancesco Favino) abbracci con affetto Claudia Pinelli, la figlia «reale» dell'anarchico morto nel '69 nella Questura di Milano.
Quando il cinema percorre tracciati scritti dalla storia contemporanea può anche capitare che la Licia Pinelli della finzione (Michela Cescon) chieda di poter tornare a incontrare quella donna di cui ha cercato di interpretare la forza d'animo: «Un saluto, prima di lasciare Milano, se se la sente».
Può succedere, quando quotidianità e fiction vanno in dissolvenza, che il commissario Luigi Calabresi col volto di Valerio Mastandrea stringa la mano alle nipoti dell'uomo della
Il registaIl regista
cui morte era stato considerato per anni il responsabile morale.
Milano, interno notte, anteprima nazionale di «Romanzo di una strage», la storia d'Italia dalla bomba di Piazza Fontana all'omicidio di Luigi Calabresi, la storia di un Paese che in quegli anni ha perso l'innocenza, che con quegli anni ha ancora qualche conto aperto, qualche segreto mai sciolto. Una storia che è anche un po' la storia di Brescia, ferita da un attentato fotocopia, dalle tante analogie che legano l'ordigno alla Banca Nazionale dell'Agricoltura alla bomba lasciata nel cestino di piazza della Loggia: 17 morti alle 16,37 del 12 dicembre 1969 a Milano; otto vite spezzate alle 10,12 del 28 maggio 1974 a Brescia. Anteprima strana quella al cinema Odeon a due passi dal Duomo, un appuntamento tra storia e finzione difficile un po' per tutti: per chi il film lo ha fatto e si misura con una realtà complessa con tante zone grigie; per chi il film lo vede con il suo vissuto lacerato negli affetti, nel ruolo che gli ha affidato la storia, testimone degli eventi e custode del ricordo. Non è facile «mettere in scena la morte» racconta il regista Marco Tullio Giordana «ma è uno sforzo che dobbiamo fare per essere vicini a quanti in questi anni stanno lavorando per mantenere viva la memoria». Loro, i testimoni, i volti del dolore, sono lì seduti in platea: chi perplesso, chi curioso, chi fiducioso che questo sforzo cinematografico contribuisca a ravvivare l'attenzione. C'è anche Manlio Milani, a rappresentare i famigliari delle vittime di Piazza della Loggia.
È spalla a spalla con la famiglia Pinelli, una fila dietro chi in Piazza Fontana ha perso l'affetto più caro. «Una fatica assistere a film come questi - confessa Milani quando le luci si riaccendono in sala -, una sofferenza per noi che abbiamo vissuto quei momenti». La finzione diventa affilata come una lama quando penetra nell'animo di chi vive nell'ombra di quel dolore. Così il boato della bomba, esaltato dal Dolby surround, lascia senza fiato, apre una voragine dentro come da sempre fa l'audio del discorso di Castrezzati in Piazza della Loggia lacerato dallo scoppio. Così il rantolo dell'anarchico Pinelli appena piombato sul selciato della Questura mette a dura prova la resistenza della figlia Claudia, che poco prima aveva confessato: «Non so se resisterò fino alla fine».
Finzione e realtà giocano brutti scherzi in questa anteprima. Come nella scena iniziale che vede uno sconosciuto varcare la porta di un negozio di Padova: è il 1969 e l'uomo ordina 50 timer per lavapiatti. Secondo le indagini finiranno per essere un comune denominatore degli attentati di quegli anni. «Un inizio così - riflette Milani - potrebbe essere l'incipit di un ipotetico film su Piazza della Loggia». E il «Romanzo della Strage» firmato da Giordana potrebbe diventare il «Romanzo delle stragi», di quegli anni di guerra non convenzionale. «In questo film - spiega Milani - anche se non c'è (la narrazione si ferma al 17 maggio '72 con l'uccisione di Luigi Calabresi, ndr ) la Strage di Piazza della Loggia ci sta tutta. Ci stanno i depistaggi, i servizi deviati, i neofascisti veneti che di queste vicende rappresentano il marchio di fabbrica».
Il giudizio di Milani sull'opera di Giordana è buono, nonostante la fonte d'ispirazione venga da un lavoro («Il segreto di Piazza Fontana» di Paolo Cucchiarelli) contestato da molti, soprattutto per la teoria secondo la quale in banca furono messe due bombe, diversa la mano, unico regista.
«Sono convinto che sia stato fatto un buon lavoro - spiega Manlio Milani -, che si tratti di un contributo importante alla memoria di quegli anni. Ha tratteggiato bene figure come quelle di Calabresi e Moro, tormentati servitori dello Stato che per primi avevano colto la verità dei fatti e che per primi si sono trovati davanti alla necessità di salvaguardare le istituzioni. Ha contribuito a ridare a Pinelli il ruolo di militante anarchico trasparente, estraneo ad ogni sospetto. Ha raccontato in maniera documentata il ruolo dei neofascisti veneti, le infiltrazioni, le connivenze. Contrariamente a quanto sottolineato da Mario Calabresi proprio sul Corriere , ritengo abbia anche sufficientemente evidenziato la campagna contro suo padre alimentata da Lotta Continua. La teoria della doppia bomba in piazza Fontana? Certo, il film ha voluto dare anche una chiave interpretativa alla Strage, un giudizio morale che forse non è condivisibile, ma a mio avviso resta elemento isolato all'interno di un lavoro che mi sembra un buon lavoro».
Milani ha ben presente di trovarsi davanti ad un film e non ad un documentario storico. Ora, chi come lui ha fatto del coltivare la memoria una missione, sa bene come mettere a frutto l'opera di Favino, Mastandrea e compagni. Lo dice allo stesso Marco Tullio Giordana complimentandosi per il lavoro e invitandolo a Brescia. «Ci verrò volentieri appena concluso il tour promozionale - spiega il regista - e sono contento che il film sia piaciuto anche a chi ha vissuto la tragedia di Brescia. È sempre difficile trattare temi come questi: vuole dire riaprire ferite, far rivivere drammi. Dobbiamo lavorare con grande serietà e rigore, ce lo chiedono le vittime e questo non è facile. Spero che adesso il film possa servire per far conoscere ai giovani quegli anni». «I giovani - gli fa eco Milani, che già sogna Giordana nelle scuole bresciane - hanno voglia di sapere e questo sarebbe un ottimo strumento».A volte capita che chi racconta storie e chi le storie le ha vissute si incrocino sullo stesso cammino. Già, succede talvolta che finzione e realtà si fondano e lavorino per un unico obiettivo: la memoria.