Dalla strategia della tensione alla strategia della paura. Quarant'anni dopo il dolore per la strage di piazza Fontana è inquinato anche dalla decisione "incomprensibile" di blindare lo spiazzo di fronte alla Banca milanese in cui esplose la madre di tutte le bombe. Qualcuno voleva evitare che si contaminasse la commemorazione ufficiale con il corteo di diecimila milanesi che aveva girato attorno al luogo simbolo della strategia del terrore che vide apparati dello Stato e neofascisti uniti contro l'insorgenza sociale più significativa della storia repubblicana, l'autunno caldo. Il mancato riconoscimento di quel nesso e l'esclusione del ricordo di Pinelli dalla cerimonia ha fatto scaturire un appello ampio per una manifestazione alternativa promossa da Rifondazione e Pdci con centri sociali, associazioni e comitati di memoria, Sinistra critica, Cantiere ecc.
Il percorso del corteo da piazza Missori ha fatto tappa davanti alla lapide di Saverio Saltarelli, ucciso da un candelotto lacrimogeno nel corso di violente cariche della polizia solo un anno dopo la strage, e i monumenti di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, in piazza Santo Stefano, militanti antifascisti caduti a Milano nell'aprile 1975. Tutti figli di quelle bombe. Quanto poco senso avessero le transenne difese da decine di uomini in assetto di guerra era evidente dai fischi che hanno coperto i rappresentanti istituzionali - Moratti, Potestà, Formigoni - da dentro e da fuori la piazza. I tafferugli su cui titolano frenetiche le agenzie si riducono a una manganellata stampata col tonfa da un maresciallo dell'Arma sulla schiena di un manifestante ignaro e pacifico. Il corteo ha gridato «Vergogna!», «Libertà!», reclamava con forza che sparissero dalla vista «gli assassini di Carlo Giuliani e di Stefano Cucchi». Questo gridava il corteo mentre i militari esagitati soffiavano nelle radio e roteavano i tonfa. Quando le autorità alzano i tacchi i blindati si trovano incastrati per un istante tra i manifestanti di dentro e quelli di fuori. E' un attimo, la ritirata si compie senza spargimento di ulteriore vergogna. Si canta "Bella ciao", sembra una festa. Sembra. «Se le transenne servivano davvero a impedire una manifestazione, ebbene sono contrario. Il dissenso nasce da quarant'anni di mancata verità», dice a Liberazione Fortunato Zinni, uno dei bancari di allora scampato per caso al tritolo di Ordine nuovo. Oggi è sindaco a Bresso.
Il corteo è riuscito, chi se l'aspettava tutta questa gente, tre generazioni. Ma a nessuno sfugge che siano tre generazione sconfitte, almeno in apparenza o stando alle evidenze processuali. Quarant'anni dopo mancano i nomi dei killer e dei mandanti. «Non sono riusciti a fare quello che volevano (la torsione autoritaria o proprio un golpe) - dice Roberto Giudici della Fiom - ma hanno condizionato il Pci e spinto settori di estrema sinistra alla lotta armata». Giudici, al tempo, era tra i compagni di Varalli e Zibecchi nel Movimento studentesco. In testa al corteo Paolo Ferrero ricorda che «ha vinto chi deviava: il premier è uno della P2 che adopera come manuale il piano Gelli. La memoria è terreno di battaglia politica». E Milano «è ormai una città simbolo per il revisionismo, sia per quanto riguarda il 25 aprile che per le stragi e gli anni '70», aggiunge Saverio Ferrari, uno dei promotori del corteo e del lavoro di inchiesta sullo squadrismo. Tra le parole d'ordine del corteo quella della riapertura delle indagini sulla strage: «Le nuove testimonianze, scaturite dal processo in corso per la strage di Brescia, forniscono elementi decisivi per una nuova inchiesta - continua Ferrari - manca solo la volontà della Procura». Il riferimento è alle ammissioni di un ordinovista, Casalini, intimo di Freda, e all'annuncio del generale dei servizi, Maletti, di voler fare i nomi di chi è stato e di chi sa quando, entro un paio di mesi sarà sentito a sua volta per la strage di Piazza della Loggia. «E c'è una terza persona di cui non si può ancora fare il nome», continua Ferrari mentre il corteo incrocia il presidio degli anarchici e del Vittoria occupato. Il titolo di questo pezzo lo fornisce la Compagnia degli Stracci, teatranti di Cinisello che da 15 anni mettono in scena testimonianze su Piazza Fontana. C'è tanta Rifondazione, con molti dirigenti (da Rinaldi a Rocchi, da Patta a Nicotra e Boghetta) e parecchia base. Abbassano l'età media i giovani comunisti, i ragazzi del Cantiere, gli studenti "antifa" e le compagne femministe. Loro l'unico viola che si vede nel corteo, lo adoperano per colorarsi il viso. Haidi e Giuliano Giuliani, la sorella di Iaio, la mamma di Dax sfilano con i genitori di Roberto Garro, uno dei tanti soldati caduti in tempo di pace, «una strage ignorata». «Oltre alla richiesta di una giustizia che ancora non c'è, questo corteo parla all'oggi - dice Piero Maestri di Sinistra critica - perché è contro l'omofobia, il razzismo e la ripresa dell'iniziativa neofascista sui territori». Lo striscione di testa è quello di sempre: "La strage è di Stato" e segna, dice Vittorio Agnoletto, «la capacità dei movimenti, oggi come allora, di smascherare le verità ufficiali».
Ci sono gli anarchici del Ponte della Ghisolfa e lo striscione "Adesso basta", retto da Franco Calamida e altri ex di Avanguardia operaia e Movimento studentesco che non hanno mai smesso di fare politica. Si sono rimessi insieme per una battaglia culturale in difesa della Costituzione, per le dimissioni di Berlusconi, il sostegno ai metalmeccanici e il contrasto alla Lega. A fianco alle lapidi che ricordano la morte di Giuseppe Pinelli ne spunta una nuova per ricordare i morti in carcere. La strategia della tensione s'è fatta "liquida" come la società. Sugli striscioni richiami alle lotte contro il pacchetto sicurezza, come a Napoli dove hanno sfilato in 700 da Piazza del Gesù sotto i palazzi istituzionali denunciando abusi e violenze contro le immigrate in attesa di espulsione nel Cie di via Corelli. In via Medina, sotto la sede dell'ex-commissariato ai rifiuti, un gruppo di attivisti ha attaccato uno striscione accendendo fumogeni verdi, per denunciare la politica degli inceneritori e solidarizzare con le manifestazioni di Copenaghen cui partecipano circa 50 attivisti napoletani e nelle quali già ieri si registravano cariche e centinaia di fermi.
Grottesche le polemiche bipartisan sui fischi. Ancor più la "bomba" di La Russa: «L'unica certezza su quegli anni è l'estraneità del Msi». Ne è sicuro ministro?