scheda a cura di Alfredo Simone
Ion Cazacu, quarantenne piastrellista rumeno, muore il 16 aprile del 2000 dopo un mese di agonia all'ospedale Sanpierdarena di Genova. Aveva gravi ustioni sul 90% del corpo. Un mese prima, a Gallarate, si era recato, insieme ad alcuni compagni di lavoro, dal suo "padroncino", il piccolo imprenditore trentacinquenne Cosimo Iannece. Ion era stufo di lavorare in nero e chiedeva di essere assunto.
La discussione diventò presto un brutto litigio. L'imprenditore perse la testa, prese una tanica di benzina, la versò addosso all'uomo e gli dette fuoco. I compagni della vittima denunciarono immediatamente l'accaduto alla polizia.
Agli inquirenti Iannece raccontò di averlo fatto per il timore che l'operaio chiedesse di essere regolarizzato per "scippargli" un appalto.
In primo grado il "padroncino" venne condannato a 30 anni di galera e a risarcire i danni alle due figlie di Cazacu, Alina e Florina: 400 milioni di lire a testa. La sentenza venne successivamente confermata in appello. La Cassazione rimandò il processo alla Corte d'Assise d'Appello per un vizio procedurale.
Con un verdetto sconcertante, la Corte d'assise d'appello (presidente Santo Belfiore) confermava l'intento omicida ma dimezzava la condanna cancellando l'unica aggravante rimasta a carico dell'imprenditore: l'aver agito per futili motivi. Esclusa quella, hanno potuto applicare la pena massima prevista per l'omicidio volontario semplice, 24 anni, riducendola automaticamente di un terzo come prevede il rito abbreviato: sedici anni.
La Procura Generale di Milano ricorreva in Cassazione ma la sentenza veniva confermata.
Alla vigilia del processo la vedova di Ion scrisse al giudice:
Sig. Giudice,
Sono Nicoleta Cazacu, già moglie di Ion Cazacu, e intendo renderLe note le ragioni che non inducono a non costituirmi parte civile e ad essere presente nel processo solo in rappresentanza delle mie figlie Alina e Fiorina. Ho aspettato questo processo come l'ambito dal quale ricevere giustizia per il gravissimo torto che io e le mie figlie abbiamo subito. Ma i miei avvocati mi hanno spiegato che il solo modo di partecipare al processo per far valere le mie ragioni è quello di esercitare l'azione civile attraverso la richiesta di risarcimento del danno, cioè attraverso la richiesta di una somma di denaro. Ho molto riflettuto su questo fatto, combattuta tra il disgusto che mi suscitava l'ipotesi di commisurare in qualsiasi modo la perdita di Ion con del denaro e la responsabilità che sentivo per il futuro delle mie figlie, che non possono più contare sulla presenza di Ion come padre e sui proventi del suo lavoro per il loro futuro. Ho molto pensato alla loro terribile sofferenza, al trauma insuperato, che sta rendendo necessario il ricorso ad uno psicologo che insegni loro a convivere con una realtà così insopportabile, perché io, che avevo provato ad aiutarle, mi sono resa conto di essere a mia volta troppo depressa e disperata. E poi, quale certezza c'è che io sarò sempre al loro fianco? Quando c'era Ion avevano tutto: un padre e i mezzi di sostentamento. Oggi, che già hanno perso il padre, non è giusto che si privino anche dei mezzi di sostentamento. Non è giusto che perdano proprio tutto. Quel contrasto, però, tra la responsabilità e il rifiuto, continua a vivere dentro di me, per questo oggi sono presente nel processo solo in rappresentanza delle mie figlie: Fiorina è maggiorenne, ma Alina no. Abbiamo deciso insieme che cosa fare. Per quanto riguarda me, io non voglio niente dall'uomo che ha ucciso mio marito, voglio solo giustizia. Quando c'era Ion, la cosa più importante era che lui poteva tornare a casa, da noi, da me, ed era questo a darmi felicità, non i soldi che lui mandava, che pure erano per noi necessari. A cosa mi servono i soldi ora che lui non c'è più, ora che non posso più essere felice, che la mia vita è un vuoto immenso?
Non conosco le leggi italiane e non ho mai avuto a che fare con i Tribunali, ma mi chiedo: se basta pagare dei soldi per avere uno sconto di pena, una persona ricca ha molti più vantaggi di una povera, e questa che giustizia è? La vita non è una merce che si può scambiare con il denaro: quando sei vivo puoi fare soldi, ma i soldi non possono fare la vita. La vita è un bene supremo, che viene da Dio, e nessuno all'infuori di Lui può decidere di porvi fine. Cosa credeva questo uomo che ha ucciso Ion, di essere Dio? Che cosa aveva dentro di sé questo uomo? Lui dice che aveva una grande rabbia. Tutti abbiamo della rabbia dentro di noi, ma che uomo è se non riesce a controllarla? Quale immane pericolo costituisce per la società? Che esempio per i suoi figli?
Per i bambini i genitori sono il primo esempio: da loro imparano quasi tutto, li imitano nei gesti, nelle parole, nella vita. L'uomo che ha ucciso Ion ha due figli che non sono colpevoli del male che ha fatto il padre, anche se ne portano già il peso e sono segnati definitivamente da quel gesto, ma non vorrei che quei bambini si privassero di qualcosa per me, perché sarebbero loro a soffrirne di più, non il padre, che con un solo gesto ha rovinato due famiglie, la sua e la mia. Come valuterebbero quei figli il gesto del loro padre se lui uscisse presto dal carcere? Penserebbero alla fine che non era poi tanto grave. Non si può permettere che dei bambini guardino con occhio superficiale a questo fatto perché non è questo il modo di costruire un futuro migliore per loro. Quell'uomo non ha solo negato i diritti di lon e la sua dignità di persona, ha persino distrutto il suo diritto alla vita. E allora, da quel momento, lui può solo essere debitore. lo voglio che questo uomo resti in carcere, non voglio contribuire a ridurre la sua pena e non è solo la rabbia che c'è dentro di me, la disperazione, l'impotenza, che mi fa dire queste cose. C'è anche la consapevolezza che in un'epoca confusa come la nostra le autorità dello Stato, almeno loro, devono dare messaggi chiari, poiché la popolazione non valuterebbe come grave ciò che è accaduto a Ion se non dovesse essere sanzionato con una pena adeguata, penserebbe che la morte di Ion, così atroce e insensata, non ha in verità nessun peso, perché Ion era uno straniero. Penserebbe che i diritti degli stranieri non sono uguali a quelli di un cittadino italiano.
Nicoleta Cazacu
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FONTI:
http://www.ecn.org/coord.rsu/pfoc/0per_non_dimenticare_ion_cazacu.htm
http://www.diario.it/?page=wl03110501