Rileggendo in questi giorni l'edizione per le scuole medie de Il sovversivo, data alle stampe nel 1976, ho ritrovato un passaggio di emblematica pregnanza ed intensità: «Quella di Serantini - scrive Corrado Stajano nelle prime pagine del libro - è la storia di un giovane che soffrendo e pagando si libera dall'esclusione, cerca il suo posto nel mondo, costruisce la sua cultura, fa delle scelte, prende parte, lotta con passione, non a parole, contro il fascismo, contro la superstizione, contro tutto ciò che è tarlato, corrotto, arcaico. Franco [...] ha una fede profonda, crede in ciò che fa, si batte per cambiare il mondo. [...] E la società, invece di premiarlo, di aiutarlo a realizzare se stesso, lo uccide, lo elimina come un pericoloso sovversivo, lo esclude di nuovo e per sempre».
Sono righe che ci restituiscono l'immagine di un ragazzo di vent'anni, Franco Serantini, il cui limpido e tenace senso di giustizia disarma il potere proprio nel momento in cui dal potere, quel 7 maggio 1972, Franco viene ucciso. Lo disarma nel senso che smaschera - e quindi mina alle fondamenta - l'arroganza di un sistema essenzialmente incompatibile con le fortissime istanze di libertà e solidarietà che motivavano l'impegno di Serantini.
Franco nasce nel 1951 a Cagliari. Abbandonato al brefotrofio, vi resta fino all'età di due anni, allorché viene adottato da una coppia di origini siciliane. Quando, nemmeno due anni più tardi, la madre adottiva muore, Franco viene affidato ai nonni materni acquisiti, con i quali vive fino all'età di nove anni. Ma di nuovo la famiglia si sfalda e lui viene prima trasferito in un istituto di assistenza a Cagliari, poi in un istituto per minori di Firenze. Compie diciotto anni nel riformatorio "Pietro Thouar" di Pisa, dove è costretto - senza alcuna ragione di carattere penale - in un regime di semilibertà.
Ma Franco è un ragazzo ostinato: riesce a conseguire la licenza media e ad iscriversi ad una scuola di contabilità aziendale. La cultura che, con enormi sacrifici, riesce a costruirsi lo avvicina all'impegno politico e lo conduce ad entrare, negli ultimi mesi del 1970, nel gruppo anarchico "Giuseppe Pinelli" e a una intensa frequentazione dei giovani del Pci, del Psi e di Lotta Continua.
Sono anni e mesi di impegno diffuso, mobilitazione e lotta. Alla sinistra del Pci si rafforza un'area extraparlamentare eterogenea nella quale si riconoscono soggetti e movimenti in dissenso con le prospettive riformatrici dei partiti tradizionali del movimento operaio italiano. La sinistra extraparlamentare trae impulso da uno straordinario biennio di lotte studentesche ed operaie, cornice e premessa di un decennio di conflitto e di conquiste.
Conquiste sociali, certo, vittorie e avanzamenti sul piano dei diritti del lavoro e dei lavoratori. Ma anche conquiste civili e culturali: la messa in discussione dei fondamenti materiali e dei supporti ideologici della società capitalistica; la radicale messa in discussione di una società conservatrice, restia ad aprirsi alle richieste di cambiamento provenienti dalle fabbriche, dalle scuole e dalle università, dalle piazze.
Pisa è uno dei centri di questa contestazione: qui nasce Potere Operaio, qui è forte il movimento studentesco. Ed è forte, conseguentemente, la violenza repressiva che viene contrapponendosi alle lotte operaie e studentesche. Il 31 dicembre 1968 il sedicenne Soriano Ceccanti viene ferito da diversi colpi di arma da fuoco mentre tenta di contestare la festa dei "ricchi" raccolti al locale "La Bussola" di Marina di Pietrasanta: rimarrà paralizzato alle gambe per tutta la vita. Il 27 ottobre 1969 lo studente Cesare Pardini viene ucciso da un lacrimogeno sparato dalla Celere.
Pisa non è uno scenario isolato. Né eccezionale. Poco più di un mese dopo alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano scoppia una bomba, provocando una strage: sedici morti e novanta feriti. Il 15 dicembre, durante un interrogatorio diretto dal commissario Luigi Calabresi, Giuseppe Pinelli "cade" dal quarto piano degli uffici della Questura di Milano e muore. Fascisti ed apparati dello Stato inaugurano la strategia della tensione. Tra il 1970 e il 1971 proseguono gli arresti, si consolida la repressione, si moltiplicano gli attentati.
Franco Serantini muore nella primavera del 1972, nel cuore di quell'Italia. Il 5 maggio partecipa, insieme ai suoi compagni del "Giuseppe Pinelli", alla manifestazione indetta da Lotta Continua contro la presenza a Pisa dell'onorevole missino Giuseppe Niccolai.
Alle elezioni politiche di quel maggio 1972 il Movimento Sociale Italiano, erede diretto e dichiarato del fascismo storico, raccoglierà l'8,7% dei consensi. » un Msi forte, identitario, con solidi legami internazionali con gruppi e organizzazioni fascisti al potere in altri Paesi europei: Spagna, Portogallo, Grecia.
Nonostante le contestazioni, Niccolai è ben deciso a concludere il comizio, consapevole che la polizia gli darà man forte. Gli studenti e i militanti della sinistra subiscono le prime cariche. Vengono lanciati lacrimogeni, la polizia picchia ripetutamente i manifestanti, spara ad altezza d'uomo. Franco viene raggiunto sul Lungarno Gambacorti: contro di lui si accaniscono dieci, forse dodici uomini del primo raggruppamento Celere di Roma. Dopo essere stato pestato a lungo, con inaudito, feroce, accanimento, viene arrestato e condotto prima in caserma, poi in carcere, in cella d'isolamento. Il giorno seguente le sue condizioni peggiorano sensibilmente: fatica persino a sostenere gli interrogatori. La mattina del 7, alle ore 8.30, Franco viene trasportato al pronto soccorso del carcere. Muore alle 9.45: il referto parla di emorragia celebrale.
Nelle settimane e nei mesi seguenti le indagini per accertare le responsabilità degli agenti coinvolti si incagliano nelle secche prodotte da interessi reazionari e in trame oscure, come quelle ordite dal procuratore generale di Firenze Mario Calamari, responsabile dell'archiviazione del caso.
Lo Stato non ha saputo né voluto processare se stesso. Di fronte alla sete di giustizia che ha segnato la breve vita di Franco Serantini, lo Stato si è chiuso a difesa di se stesso. Anche contro l'impeccabile condotta di magistrati come il giudice istruttore Paolo Funaioli e come Salvatore Senese, allora pretore di Pisa, lo Stato non ha fatto giustizia e - scrive Stajano - «non potrà neppure farla [...] senza mutare le sue strutture».
Vorremmo che quel Lungarno Gambacorti, da trentaquattro anni luogo della memoria della comunità antifascista pisana, ci facesse riflettere per lavorare con un maggiore impegno contro l'arbitrio, la violenza e i privilegi. E che dia la forza al Paese per rinnovarsi nel profondo.
La vita e la morte di Franco Serantini hanno ancora molto da raccontare, proprio rispetto a quei grandi temi richiamati nella premessa di Stajano all'edizione del 1976: «l'esclusione, la scuola, la politica che vuol mutare le cose, la giustizia dei tribunali e la giustizia sociale, i diritti e i doveri della collettività, l'uomo di fronte a se stesso e alla società, la democrazia».