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Violenze del San Paolo. Sei anni per non ottenere né giustizia né verità
Fonte: Liberazione, 10 maggio 2009
10 maggio 2009

Con la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione giovedì 7 maggio, a sei anni dall'assassinio di Dax e dalle violenze contro i suoi amici e compagni all'Ospedale San Paolo nella notte del 13 marzo del 2003, la terribile vicenda iniziata con l'aggressione fascista contro il giovane milanese sembra chiudersi nel peggiore dei modi. Due dei giovani accorsi quella notte al San Paolo sono stati infatti condannati a 18 mesi con una richiesta di risarcimento danni che supera i 120.000 euro. La Cassazione non ha fatto che confermare quanto emerso nella sentenza d'appello, aggiungendo un ulteriore tassello negativo. Le indagini sui fatti del San Paolo - cariche indiscriminate e violenze contro gli amici di Dax - avevano portato alla sbarra quattro compagni e tre esponenti delle forze dell'ordine. Il primo grado del processo, conclusosi nel marzo del 2006, aveva portato alla condanna di due dei quattro attivisti denunciati per resistenza aggravata e lesioni a un anno e otto mesi e decine di migliaia di euro di risarcimento a poliziotti feriti e allo Stato per i danni riportati sia fisicamente che in termini di immagine. Dei due carabinieri e del poliziotto imputati, solo un carabiniere inchiodato da un video amatoriale è stato riconosciuto colpevole e condannato a 7 mesi e un riasarcimento minimo. La sentenza d'appello, emessa nel febbraio 2008, ha confermato la condanna di un anno e otto mesi per due compagni e il risarcimento complessivo di oltre 100.000 euro. Ha inoltre portato alla piena assoluzione dei membri delle forze dell'ordine, compreso il carabiniere precedentemente riconosciuto colpevole. Nulla hanno contato nelle sentenze le testimonianze del personale medico-sanitario dell'ospedale che ha assistito alle cariche indiscriminate dentro e fuori il Pronto Soccorso, intervenendo tempestivamente per curare i feriti. Ancora meno hanno pesato le evidenti lesioni riportate dagli amici e dai compagni di Davide, gli unici, invece, ad essere stati condannati. Con la decisione della Cassazione, l'ultima pietra è stata posta su questa storia segnata dal dolore e dell'inguistizia.