Si chiude così il capitolo giudiziario relativo alla notte del 16 marzo 2003, la notte in cui morì Dax, assassinato dalle lame fasciste, mentre ai suoi compagni ed amici accorsi al pronto soccorso del San Paolo toccarono le cariche di polizia e carabinieri.
Già in via Brioschi la presenza massiccia dei mezzi delle forze dell'ordine aveva di fatto rallentato l'arrivo dei soccorsi. Dopo che le ambulanze avevano portato via Davide e un altro compagno gravemente feriti, un plotone di poliziotti si presentò in tenuta anti-sommossa per "contenere la disperazione" dei presenti, provocazione culminata poi con cariche e manganellate all'interno dell'ospedale.
Prima le risate sprezzanti di fronte al dolore di chi aveva appena appreso la notizia della morte di Dax., poi un'aggressione, premeditata e finalizzata a renderci inermi per impedire qualsiasi tipo di reazione.
Hanno approfittato della situazione per compiere una mattanza contro quei "rossi di merda" da sempre detestati, "uno di meno", "vi ammazziamo tutti", spingendosi fin dentro i reparti dell'ospedale per rincorrere chi tentava di sottrarsi alla loro furia. Il "caso" ha poi voluto che le telecamere del pronto soccorso in quelle ore non funzionassero e non abbiano così potuto documentare in diretta i pestaggi selvaggi e le urla delle persone arrestate, dopo essere state picchiate a sangue. Un bilancio fatto di volti tumefatti, teste aperte, braccia e denti rotti, sommati alla tragica morte di Davide.
Già all'indomani della mattanza era pronta la versione del questore Boncoraglio per giustificare i proprio uomini: "Stavamo solo impedendo che i ragazzi portassero via la salma". Un grottesco tentativo di legittimare la brutalità, dipingendoci come selvaggi o barbari (cosa avremmo dovuto fare con la salma?!?) che meritavano di essere picchiati in quel modo.
Contemporaneamente la stampa da un lato ha cercato di spoliticizzare l'agguato fascista parlando di "rissa tra balordi" in cui "la politica non c'entra", dall'altro ha avvallato la delirante versione della Questura sugli scontri del S. Paolo. Fin da subito è stato, ed è ancora oggi, necessario riaffermare la verità sui fatti del 16 marzo 2003.
Il capitolo giudiziario rappresenta un'altra ferita aperta.
Le indagini, infatti, portarono alla sbarra quattro compagni e tre esponenti delle forze dell'ordine.
La sentenza d'appello, emessa nel febbraio 2008, ha confermato la condanna di un anno e otto mesi per due compagni e il risarcimento complessivo di oltre 100.000 euro. Ha inoltre portato alla piena assoluzione dei membri delle forze dell'ordine, che in primo grado avevano visto la condanna di un poliziotto a quattro mesi per abuso di ufficio (ripreso da un video amatoriale mentre manganellava una persona a terra) e di un carabiniere a sette mesi per possesso di una mazza da baseball (reato caduto in prescrizione). Nulla hanno contato le testimonianze del personale medico-sanitario che ha assistito alle cariche indiscriminate dentro e fuori il Pronto Soccorso, intervenendo tempestivamente per curare i feriti. Ancora meno hanno pesato le evidenti lesioni riportate dagli amici e dai compagni di Davide, gli unici, invece, ad essere stati condannati.
Lo Stato, ancora una volta, si è assolto, tentando di stravolgere la verità nelle aule dei tribunali, aggiungendo alle violenze di quella notte le menzogne della sentenza.
La Magistratura si è resa così complice del comportamento, in stile scuola Diaz, delle forze dell'ordine, che ha legittimato a sua volta l'aggressione fascista.
Con l'avvicinarsi della chiusura del processo sui fatti del S. Paolo, ribadiamo con ancor più forza la verità su quella notte nera. Sotto processo non ci sono solo i quattro compagni - che in caso di conferma vedrebbero le condanne diventare definitive - ma la memoria e il ricordo di ciò che è accaduto.
Stringendoci intorno a tutti coloro che sono colpiti dalla repressione e dalla brutalità poliziesca.
Nessuna giustizia nessuna pace.
Con Dax nel cuore