La giornata si presentava splendida contrariamente a quanto avveniva da giorni e come ha poi proseguito il giorno seguente; il cielo limpido e un caldo sole preannunciava una giornata favorevole.
Favorevole a svolgere quella giornata di protesta nei pressi della residenza che fu dei Papi e dei Re a Roma, oggi occupata da colui che a sua detta doveva essere il Presidente di tutti gli italiani in una Repubblica di cui non sappiamo più se è la 2°, la 3° o addirittura delle banane.
Si perché subito dopo il discorso d'insediamento, Egli come già tutti i Suoi predecessori si dimentica di esser lì a rappresentare tutto il popolo italiano; dimentica che Essi, i Presidenti, sono li al nostro servizio.
Avevamo preparato questa manifestazione da giorni, anzi da mesi; da quando ci eravamo resi conto che dopo dieci anni di indifferenza istituzionale, oramai non avremmo più ottenuto quella giustizia che noi, e tutti i cittadini si aspettano in un Paese libero, civile, democratico.
Così non è; in questo Paese la giustizia è una chimera, e la mala- giustizia si è istituzionalizzata.
E non siamo i soli ad averlo constatato.
Nel decimo anniversario della morte del nostro unico figlio deceduto in circostanze mai chiarite, né dalla magistratura militare, né da quella civile, causa probabile di quel "Segreto di Stato" usato e abusato in storie di caserme, e che incombe anche su questa morte avvenuta in Friuli il 9 giugno 1998 in compagnia di altri tre commilitoni, non essendo nell'arco di dieci anni riusciti a smuovere il muro di omertà e di depistaggi e mettere la parola fine su questa strage di giovani militari di leva obbligatori, nonostante le centinaia di appelli inviati ai maggiori esponenti della vita politica italiana, centinaia lettere ai mass-media per ottenere una "scrollata" su questa storia, decine di viaggi da Milano a Roma centro del "potere" non solo politico.
Stanchi e delusi in un Paese che non consideriamo più il "nostro", noi, genitori di questo soldato tradito dallo Stato, ignorato dalla "società civile" abbandonato anche da tutti quei "buonisti" che ogni giorno si mobilitano per tutte quelle cause lontane dalla nostra civiltà dal nostro costume, dalla nostra ideologia; abbiamo deciso, come atto di protesta di recarci ancora una volta a Roma presso la residenza del Capo dello Stato, per restituire se non nelle "sue proprie mani", almeno nelle mani di un "incaricato", quella Bandiera che impropriamente qualche vile aveva steso sulla bara di nostro figlio, forse nel tentativo di nascondere le vergogne celate al suo interno, avendo essi, i militari, gettato nella suddetta bara nostro figlio, dopo averlo spogliato totalmente, ancora totalmente nudo, sporco (di sangue e sabbia) e scomposto; alla stregua di un vero "cane rognoso".
Ebbene la sorpresa nostra nel presentarci sul luogo pre-indicato dalla regolare "autorizzazione" rilasciata dalla Questura di Roma, scoprire che trattasi di un tratto della "salitella" di Via XXIV Maggio che porta al Quirinale e l'angolo di Via Mazzarino, tratto di strada, per chi non è romano, trovasi a circa 150/200 metri lontani dalla stessa piazza del Quirinale, celata agli occhi nostri e di chi dal Quirinale volesse "spiare" la nostra manifestazione, un tratto di strada priva del passaggio pedonale a noi necessario, quindi impediti di svolgere un normale volantinaggio per spiegare le ragioni della nostra presenza, un tratto completamente in salita (infatti viene definito quello del Quirinale, il Colle più alto) in cui le auto devono necessariamente accelerare per poter arrancare verso l'alto, fra rumore infernale è smog in eccesso, impedendoci in tal modo la possibilità di usare il megafono per spikerare le nostre ragioni.
Ma il paradosso è stato che: essendo noi lì, genitori di militari, di poliziotti di carabinieri i cui nostri figli caduti al servizio dello Stato con lo scopo preciso di protestare anche per la mancanza di tutele con cui questi nostri Tutori dell'Ordine si trovano a dover operare ogni giorno, Essi sono stati in questa occasione usati in maniera eccessiva (almeno sette furgoni) per reprimere pochi di noi, già vittime di questo Stato e debitori dello Stato, avendo già dato la vita dei nostri figli.
E questi Tutori dell'Ordine anche in questa occasione hanno svolto egregiamente il loro compito respingendo aspramente un nostro timido tentativo di superare quel "limite della vergogna" che noi liberi cittadini "padroni in casa nostra" non abbiamo potuto superare nemmeno di un centimetro (alla faccia dell'art. 16 e 21 Cost. Ital.), vanificando per tutte queste ragioni esposte, il viaggio dai nostri luoghi di residenza: Milano, Ferrara, Napoli, Taranto, Matera e da Roma stessa, viaggi fatti a nostre spese, con gravi disagi economici, di salute ecc.
Il maggiore disappunto è arrivato quando scopriamo che nonostante avessimo preannunciato allo stesso Capo dello Stato con lettera Raccomandata, e avessimo preannunciato per maggior sicurezza con una telefonata al Suo Addetto Militare questa nostra venuta a Roma presso la Sua residenza per consegnare questo vessillo già da essi oltraggiato; nessuno ha voluto ritirarlo in quanto nessuno aveva dato o ricevuto disposizioni in merito.
Ma scopriamo anche in quel momento che: come già fece il Suo illustre predecessore Vittorio Emmanuele III, Egli era fuggito alla volta di Napoli. Ci chiediamo: temeva forse questo confronto con noi o più semplicemente intendeva comportarsi anch'Egli da monarca?
A noi resta l'amarezza di sapere che in questo paese un semplice mortale come noi, un umile, un debole deve sempre subire l'arroganza dei più forti ben sapendo che i più forti sono spesso coloro che noi stessi eleggiamo nell'illusione di essere ben rappresentati.
anna e angelo garro:
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