Haidi Giuliani mi ha fatto il regalo più grande, accettando l'avvicendamento con me al Senato. Non ce l'abbiamo fatta il 20 luglio, la data che insieme avevamo scelto, una data simbolica di quello che giustamente avevamo chiamato il nuovo movimento operaio. Ma con il voto di ieri possiamo essere certi che si rafforza anche nelle istituzioni la battaglia per ottenere verità e giustizia per Genova e per i mille casi di ordinaria repressione quotidiana. Occorre che attorno ad Haidi vi sia non solo solidarietà rispetto all'odiosa campagna di cui è oggetto da anni, ma si costruisca anche un ambito di lavoro che metta in connessione gli strumenti di difesa legale per i fatti del G8 con altre realtà come la rete dei "meno invisibili" e altro ancora: è un impegno che tutti e tutte ci dobbiamo prendere. Anche perché nel nostro futuro non ci può essere ancora, sempre e comunque, come capo della polizia il prefetto Gianni De Gennaro.
Nel nostro dibattito si dice spesso che "la politica non è il palazzo". Credo che sia un concetto giusto, soprattutto dopo l'esperienza che ho fatto per oltre cinque anni al Senato, quelli in cui pure vi sono state le più forti mobilitazioni sociali dopo tanto tempo: rispetto al Parlamento sembrano passati come acqua sul marmo. Impressionante.
Non basta affermare che la politica è altro. Ci vogliono anche comportamenti coerenti per rinnovare la politica. Una cosa modesta, direi normale, è quella della rotazione dei ruoli e degli incarichi. Chi ha detto che chi ha fatto il capogruppo al Senato non possa e non debba tornare a fare il semplice militante e a vivere la condizione sociale di chi vuole rappresentare?
Spiace dirlo, ma il partito non sta funzionando così. L'ho detto tante volte nei nostri organismi dirigenti; prima di me lo aveva ricordato più volte e con ben altra autorevolezza il nostro grande maestro Livio Maitan. Com'è noto, io mi riconosco nell'area di Sinistra Critica del PRC, sono un "dissidente", sono contrario alla scelta di partecipare al governo Prodi e lo riconfermo, con dovizia di motivi in aggiunta rispetto a qualche mese fa. Ma questa mia critica non la rivolgo a una parte, ma a tutti e tutte noi, che anche nel dissenso possiamo riproporre e riprodurre i meccanismi burocratici del potere.
Una nuova soggettività anticapitalista, ecologista e femminista è necessaria e uno dei suoi fondamenti non può che essere la democrazia dal basso, diretta e partecipativa: mi sento di impegnarmi per questo e la condizione è quella di uscire in primo luogo dalla melassa che mi imbriglia il cervello.
Credo che in molti e molte sentiamo il bisogno di aria nuova, di ritrovare il gusto della militanza e del conflitto sociale. Il fatto che tutto il vecchio gruppo dirigente del partito sia finito nelle stanze del governo e in parlamento ci mette fortemente a rischio. Vedo appiattimenti e conformismi preoccupanti anche in compagni e compagne che stimo e con cui ho lavorato per anni.
Tuttavia il processo non è irreversibile. La generazione di Genova, quella che non è rifluita e che vuole continuare le lotte contro la guerra "senza se e senza ma", contro la precarietà e per una società più giusta e libera, ci sta dando una spinta positiva e ci può far uscire dalle difficili strettoie che stiamo attraversando.
E così lavoratori e lavoratrici, apparentemente muti e disorientati, che guardano con severità e grande attenzione al nuovo quadro politico. Non si creda che siano passivi e che ce le perdonino. Meno male, sono compagni e compagne che sento miei e nostri. Sono il nostro futuro e sono contento di tornare in mezzo a loro. Un grazie sincero al gruppo parlamentare che mi ha permesso tutto ciò e anche a tutta l'aula che mi ha dedicato un apprezzamento che mi ha sinceramente commosso.