Era la notte del 12 giugno '75 quando, nella campagna solcata dalla provinciale Montecchio-S.Ilario, venne ritrovato il corpo di Alceste Campanile, militante di Lotta continua. Ventuno anni e una voce bellissima. L'avevano ammazzato un colpo al cuore e uno alla testa sparati da due pistole diverse. Sergio Sinigaglia ne scrive sul sito reti-invisibili , inventato da Haidi Giuliani quando pensò di tirare un filo tra i comitati di verità e giustizia e animato dall'infaticabile "Baro" Barilli, mediattivista artefice di più d'una incursione su Liberazione . Inutile cercare tracce a Reggio Emilia, la città di Alceste, perché mai nessuno ha posto una targa per lui. Eppure questo militante che sapeva suonare benissimo la chitarra è l'ultimo martire reggiano dell'antifascismo, trent'anni dopo la guerra e quindici dalla strage di piazza della Vittoria che fece cinque vittime.
Perché in tutta Reggio non c'è una lapide, un monumento, una via o anche solo un albero che ricordi Alceste Campanile? La domanda ha preso a risuonare in città da pochi giorni, da quando è stato presentato «La primula nera» scritto da Giovanni Vignali dedicato alla carriera criminale di Paolo Bellini e ai misteri d'Italia. Il giornale cittadino ha lanciato un sondaggio tra i lettori e il municipio ha fatto sapere di non aver nulla in contrario purché sia la società civile a domandarlo. Liberazione vuole essere una di quelle voci assieme a Rifondazione comunista di Reggio e alla Federazione della sinistra. Domani questo articolo verrà portato dal segretario Prc, Mirco Tincani, al sindaco della città per chiedere che una piazza o una targa, finalmente, ricordino il militante ucciso dai fascisti.
Una storia che deve essere raccontata di nuovo. Era, pure allora, un tempo di violenze e agguati neofascisti, ma l'inchiesta prenderà una strana piega. Il 25 agosto 1972, a Parma, alcuni neofascisti avevano già ucciso Mariano Lupo, un altro militante di Lc. Proprio a Parma, il 17 giugno, venne trovata una rivendicazione del gruppo eversivo di destra Legione Europa, in forma di volantino dal titolo "Da "fascista" a comunista - viltà o convenienza". L'allusione era alle frequentazioni dei giovani missini da parte del liceale Alceste. Il gruppo era già noto agli inquirenti, che il giorno successivo arrestarono uno dei leader, Donatello Ballabeni, conosciuto ai giudici, essendo stato identificato come l'acquirente del coltello che aveva ucciso Mariano Lupo ma al processo gli verrà riconosciuta solo l'apologia di reato. Per i carabinieri l'omicidio era da affibbiare alle Brigate Rosse o a «qualche gruppuscolo ad esse affiliato». «Gli inquirenti iniziano a interrogare i compagni di Alceste e perquisiscono numerose abitazioni di militanti di Lc», scrive ancora Sinigaglia, autore - con Barilli - di "La piuma e la montagna". Spunta un biglietto con un numero telefonico di Napoli. Chi indaga detta a cronisti fedeli che si tratta di un recapito di un noto esponente dei Nap, Nuclei Armati Proletari, una formazione clandestina fondata da fuoriusciti di Lc. Se avessero chiamato, invece, dall'altro capo del filo avrebbe risposto Goffredo Fofi, noto intellettuale e animatore della "mensa dei bambini proletari", esperienza di mutualismo - oggi diremmmo di partito sociale - che Alceste voleva conoscere meglio. Vittorio Campanile, padre di Alceste era un uomo di destra e sostiene, con la pista rossa, una forsennata campagna contro gli amici e le amiche del figlio. Nel maggio 1977, scoperto ad aver falsificato la firma del figlio sull'atto di vendita di un appartamento, fu denunciato per falso ma questo non gli impedì di scrivere un memoriale che incolpava dell'omicidio autonomi e nomi del Pci emiliano. Solo il quotidiano Lotta continua prova a tenere l'inchiesta.
Trent'anni dopo la confessione di Paolo Bellini, squadrista di allora, passato dal Msi ad Avanguardia nazionale. Nel frattempo gli inquirenti avevano tentato perfino un collegamento con lo sciagurato sequestro dell'ingegnere Carlo Saronio, conclusosi tragicamente, attuato da un ex di Potere Operaio, Carlo Fioroni, in combutta con la mala milanese. Nel teorema, Alceste, amico del presunto autonomo e basista per il riciclo del riscatto, avrebbe visto ciò che non doveva e sarebbe stato eliminato. I suoi compagni, fin da quel 12 giugno, avevano visto giusto: gli assassini erano fascisti. Bellini aveva dato un passaggio a Campanile che chiedeva l'autostop. Sulla macchina c'era Roberto Leoni, leader degli avanguardisti reggiani. Suo, secondo Bellini, il secondo sparo su Alceste. Il mandante sarebbe un altro leader di An, Giulio Ennio Firomini, che avrebbe anche fornito l'arma del delitto.
Per Bellini, reoconfesso e collaboratore, l'accusa declassa la faccenda da "omicidio premeditato" a "semplice". Era il 30 ottobre 2007.