Alceste Campanile viene ucciso la notte del 12 giugno del 1975. Il corpo senza vita viene ritrovato in un tratto di campagna vicino la strada provinciale Montecchio- Sant'Ilario, in prossimità di Reggio Emilia. Ad ucciderlo è stata una calibro 7,65. Alceste aveva 21 anni e militava in Lotta Continua. Era da tutti ben voluto e stimato per il suo carattere solare. Amava la chitarra e la musica rock, e madre natura gli aveva regalato una bellissima voce. Nonostante che il suo omicidio avvenga in un contesto nazionale caratterizzato da un continuo susseguirsi di violenze e agguati neofascisti, l'inchiesta prende una strana piega. Infatti gli inquirenti iniziano a interrogare i compagni di Alceste e numerose abitazioni di militanti di Lotta Continua subiscono accurate e pesanti perquisizioni. Il pretesto lo dà un biglietto con un numero telefonico di Napoli. Chi indaga fa filtrare che si tratta di un recapito di un noto esponente dei Nap, Nuclei Armati Proletari, una formazione clandestina fondata da fuoriusciti di LC. Ci vuole poco tempo per far cadere la montatura e verificare che il telefono è di Goffredo Fofi, compagno di Lotta Continua, noto intellettuale e animatore della "mensa dei bambini proletari", esperienza verso la quale Alceste era fortemente interessato. Ma la "pista rossa" non cade. Anzi è alimentata da Vittorio Campanile, padre di Alceste, che, coerentemente con le sue idee di destra, avvia una forsennata campagna contro gli amici e le amiche del figlio, nonostante gli altri famigliari siano di opinioni molto diverse. Inizia così una lunga vicenda che si concluderà solo trent'anni dopo con la confessione di Paolo Bellini squadrista di allora che ammetterà le proprie colpe. In mezzo un zig zag giudiziario che arriva anche ad ipotizzare, sempre in nome della "pista rossa", un collegamento con lo sciagurato sequestro dell'ingegnere Carlo Saronio, conclusosi tragicamente, attuato da un ex militante di Potere Operaio, Carlo Fioroni, in combutta con un gruppo della mala milanese. Si ipotizza che Alceste, tramite un'amicizia di adolescenza con un esponente reggiano dell'Autonomia possibile basista per il riciclo del denaro frutto del sequestro, non volendo, avrebbe visto ciò che non doveva. Invece la verità era quella che sin dall'inizio avevano denunciato chiaramente i compagni di Alceste. Gli assassini erano fascisti. Bellini confessa e chiama in causa altri due camerati Roberto Leoni, l'altro esecutore dell'assassinio, e Piero Firomani che avrebbe fato sparire l'arma. Entrambi, naturalmente, respingono ogni addebito, ma per la giustizia Paolo Bellini, reoconfesso, è sicuramente colpevole. Solo che la sua collaborazione per far emergere la verità, viene premiata e l'accusa da "omicidio premeditato" diventa "semplice", in modo che così possa andare in prescrizione. Ancora una volta ingiustizia è fatta!.