L'ex capo dello Sco della polizia, Gilberto Caldarozzi - nell'ambito delle violenze alla Diaz commesse dalle forze dell'ordine contro no-global indifesi durante il G8 di Genova del 2001 - ad avviso della Cassazione, si «è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici» e, per questo, legittimamente, scrivono gli "ermellini", la magistratura di sorveglianza gli ha negato «l'affidamento in prova».
Con la conseguenza che Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi di reclusione, deve scontare ai domiciliari, e non in espiazione esterna, questa ultima parte della pena non coperta dall'indulto. La Suprema Corte, inoltre, nella sentenza 6138 depositata oggi - con le motivazioni della conferma del no all'affidamento ai servizi sociali deciso nell'udienza dell'11 dicembre - aggiunge che con «stretta coerenza logica», il Tribunale di sorveglianza lo scorso aprile ha dato parere negativo all'espiazione esterna per la «non apprezzabile predisposizione del condannato ad un ripensamento critico della sua condotta, dedotta dalla sua indifferenza rispetto ad una prospettiva risarcitoria volontaria delle vittime, dalla lettura minimale delle sue responsabilità, dal rifiuto di esprimere pubblica ammenda per quanto accaduto in riferimento alle sue colpe».
Ritiene, la Cassazione, che le violenze alla Diaz siano un fatto, in sé, di «estrema gravità» in quanto si è trattato di «un pestaggio forsennato, di inaudita violenza e privo di alcuna ragione di inermi dimostranti colti nel sonno mentre si trovavano al chiuso di un edificio scolastico». Per quanto riguarda gli addebiti contestati a Caldarozzi, i supremi giudici sottolineano che nel 2001 lui era «dirigente della polizia, tutore della legge e della legalità» e si è prestato «a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici, in violazione di diritti fondamentali di libertà, di tutela giudiziaria, della dignità della persona, riconosciuti in tutte le democrazia occidentali, dalla nostra suprema carta e nella stessa Corte europea dei diritti».
Tra i fattori che avrebbero potuto spezzare una lancia a favore dell'affidamento in prova, la Cassazione sottolinea il «recentissimo impegno» di Caldarozzi, dallo scorso febbraio, nel volontariato, e l'attività lavorativa come «consulente per la sicurezza in favore di un importante istituto di credito» a seguito della sua sospensione dal servizio per cinque anni. Ma sono dettagli liquidati come «sub valenti» rispetto agli altri «elementi sfavorevoli».