AFFIDARE la sorveglianza dei detenuti ad un agente che è sotto inchiesta per aver letteralmente squartato la mano di un prigioniero del G8 del luglio 2001 nella caserma di Bolzaneto, non è stata forse la scelta migliore che, nel 2005, la questura di Genova potesse fare.
Anche se chi la fece oggi non sarà certamente chiamato a rimborsare i soldi che il Viminale, cioè lo Stato, cioè tutti gli italiani, verseranno come risarcimento a una donna stuprata.
Quel poliziotto, Massimo Luigi Pigozzi, 53 anni, già indagato per uno degli episodi più violenti ed aberranti accaduti al G8 del 2001, nel maggio del 2005 venne assegnato alla sorveglianza delle guardine di via Diaz.
E lui ne approfittò per violentare due prostitute romene che erano state fermate poche ore prima.
IERI mattina, la Corte di Cassazione non solo ha confermato la condanna a 12 anni e mezzo di reclusione per stupro per l'assistente capo di Polizia Massimo Luigi Pigozzi, ma soprattutto ha condannato il ministero dell'Interno a risarcire una delle vittime, ribaltando così, anche se solo per questo aspetto, la sentenza della corte d'Appello di Genova che aveva invece accolto la tesi dell'Avvocatura escludendo la responsabilità civile del Viminale.
Per la Cassazione «è stato accertato che i fatti si sono svolti all'interno di un ufficio di Polizia e durante il servizio di vigilanza alle persone fermate, violazione dei doveri inerenti la funzione pubblica di agente di polizia: sussistendo quindi il rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto e le mansioni svolte, andava confermata la responsabilità civile dello Stato che, peraltro, nonostante Pigozzi fosse già stato coinvolto in fatti di violenza contro soggetti in stato di fermo e condannato in primo grado (in realtà la prima sentenza di con abuso di poteri e Bolzaneto è del 2008, ndr), ha ritenuto opportuno adibirlo ancora una volta allo svolgimento di mansioni che prevedevano il contatto diretto con le persone arrestate o fermate e che quindi rendevano elevatissimo il rischio di commissione di reati della stessa indole».
Al centro di questo secondo processo, le violenze sessuali avvenute ai danni di donne in stato di fermo mentre si trovavano nella camera di sicurezza della questura del capoluogo ligure. Pigozzi era stato condannato sia in primo grado che in appello e la sua condanna per violenza sessuale aggravata e abbandono di posto di servizio è ora stata confermata dalla Suprema Corte. Se, però, i giudici di secondo grado avevano escluso la responsabilità civile del ministero dell'Interno, la Cassazione ha accolto il ricorso di una delle donne vittima di violenza, una straniera costituitasi parte civile nel processo, e condannato il Viminale a risarcirla. I legali della vittima, nel ricorso, avevano rilevato che «le mansioni svolte dall'imputato hanno grandemente agevolato la condotta criminosa », addebitando così «allo Stato una "culpa in vigilando"» per aver dato a Pigozzi un «compito delicato (quale è la custodia degli arrestati) - si sottolineava nel ricorso - benchè fosse già stato condannato per episodi di violenza gravissima contro soggetti fermati». I giudici di piazza Cavour, con la sentenza depositata ieri, hanno annullato senza rinvio la pronuncia d'appello «limitatamente alla esclusione del responsabile civile».