Domani, 14 giugno, la Corte di Cassazione dirà l'ultima parola sui processi per gli abusi sui detenuti e i falsi compiuti nella caserma di Bolzaneto nel 2001 durante il G8 di Genova. La verità storica è già nota. I detenuti furono maltrattati, con metodi che secondo la definizione internazionale sono qualificabili come tortura.
Scorre già sotto i nostri occhi il solito film: la magistratura, unico corpo dello stato a esercitare davvero la sua funzione di controllo del potere, consegna alle istituzioni democratiche il compito di trarre conseguenze politiche da indagini condotte in totale isolamento e senza la minima collaborazione. E le istituzioni democratiche - il parlamento, il governo, le principali forze politiche - si preparano a reagire come hanno fatto in altre circostanze: voltando le spalle.
La vicenda Diaz insegna: una sentenza clamorosa, che ha decapitato il vertice della polizia di stato, è stata subita con fastidio e non ha portato a provvedimento alcuno. Con Bolzaneto accadrà lo stesso. La falsariga è quella segnata in questi anni. L'evidenza storica delle torture compiute nel 2001 non ha mai turbato più di tanto le forze politiche democratiche, né i vari ministri che si sono succeduti.
Di fronte all'evidenza dei fatti, confermati da due giudizi in sede penale, non è successo assolutamente niente: gli imputati sono rimasti ai loro posti anche dopo le condanne, non sono stati avviati procedimenti disciplinari, nulla si è fatto per estirpare la malapianta della violenza e dell'abuso che evidentemente si annida all'interno delle nostre forze di sicurezza. Si è addirittura assecondato, da parte del potere politico, il rifiuto - antistorico, corporativo e assai poco democratico - di una vera e seria legge contro la tortura.
Quest'inerzia rispetto agli orrori di Genova G8 è stata nei fatti una legittimazione e dovremmo chiederci se il rifiuto dell'autocritica e il rigetto di qualsiasi forma di trasparenza, non siano all'origine delle terribili vicende accadute negli anni seguenti: pensiamo a quanto è accaduto a Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino e tanti, troppi altri.
L'esperienza internazionale di decenni dimostra che la tortura può essere prevenuta solo punendo e isolando i responsabili degli abusi: la magistratura deve occuparsi dei risvolti penali, l'amministrazione pubblica di quelli etici e professionali. In Italia si è notata solo l'insofferenza verso il lavoro dei magistrati. A tutti i livelli, si finge di non sapere che l'Italia è un paese nel quale si pratica la tortura. Coi risultati che abbiamo visto: dal 2001 in poi si sono moltiplicati i casi di persone maltrattate e uccise in stato di detenzione, cioè affidate "in custodia" per conto dello Stato alle forze di sicurezza.
Ora in parlamento qualcuno è tornato a parlare di una legge contro la tortura e c'è da stare attenti, se consideriamo alcuni pessimi testi elaborati in passato: ci si preoccupava più di non irritare i vertici delle forze dell'ordine che di seguire gli standard normativi internazionali.
Vedremo di che cosa sarà capace il nuovo parlamento, intanto possiamo già dire che una legge sulla tortura servirà a ben poco se non si interviene subito con messaggi forti di rifiuto delle prepotenze e degli abusi, con un'operazione di apertura e di trasparenza che deve passare attraverso la rimozione dei responsabili degli abusi (anche se prescritti). Ed è ormai chiaro che l'Italia ha bisogno urgente di un'autorità indipendente di protezione dei diritti umani.