Per la prima volta, a dodici anni dai fatti della scuola Diaz, durante il G8 di Genova, due poliziotti, dopo la sentenza definitiva di condanna della Cassazione, dovranno scontare un periodo di detenzione, seppure ai domiciliari. L'hanno deciso i giudici del tribunale di Sorveglianza di Genova per l'ex capo dello Sco, Gilberto Caldarozzi, e per Vincenzo Canterini, ex capo del settimo Reparto Mobile di Roma. Entrambi avevano chiesto, insieme agli altri 15 funzionari di polizia condannati in Cassazione, la concessione dell'affidamento in prova ai servizi sociali. Ma il tribunale di Sorveglianza ha respinto la richiesta e ha stabilito che dovranno scontare 8 mesi il primo e e 3 mesi il secondo, residuo pena di entrambi per il reato di falso.
Questa esecuzione presso il domicilio è una forma di detenzione domiciliare prevista dalla legge 199 del 2010, la cosiddetta "svuota carceri". Caldarozzi è stato condannato in appello a 3 anni e 8 mesi confermati dalla Cassazione. Gli restano 8 mesi perchè i tre anni sono stati condonati. Per Canterini la condanna della Corte d'appello di Genova a 5 anni di reclusione era stata rideterminata dalla Cassazione a 3 anni e 3 mesi in quanto il reato di lesioni gravi era stato dichiarato prescritto. Tre anni sono stati condonati, ed è rimasto così il residuo pena di 3 mesi che sconterà ai domiciliari. Il difensore di Caldarozzi, Valerio Corini, ha commentato: «Lascia sgomenti constatare che l'investigatore che negli ultimi dieci anni ha risolto i maggiori casi di polizia criminale italiana, compreso l'arresto di Bernardo Provenzano, si veda negare l'accesso all'affidamento in prova ai servizi sociali. Tutti sanno a quale tipologia di soggetti viene normalmente concesso».
L'ha presa male pure il difensore di Canterini. «Lascio all'opinione pubblica stabilire se sia una cosa giusta, corretta, equa. Nell'arco di 12 anni di processo il mio assistito ha continuato a lavorare come zelante servitore dello Stato senza alcun problema di sorta». L'irruzione della polizia nella scuola Diaz avvenne di notte mentre diversi ospiti dormivano. Furono oltre 60 le persone ferite e 93 gli arrestati illegalmente per i disordini in città. Le immagini dei volti feriti, del sangue nei locali devastati della scuola fecero il giro del mondo. Per i pm che impostarono l'inchiesta il processo era difficile come quello ai boss mafiosi oppure nei confronti di uno stupratore. Nel primo caso scatta la medesima omertà vista in questi anni, nel secondo si tende a criminalizzare le vittime. Infatti, alcuni manifestanti stanno scontando pene lunghissime, fino a dieci anni, per aver provocato danni a cose. In una memoria, il Procuratore Generale di Genova, Vito Monetti, aveva chiesto al Tribunale di Sorveglianza «rigore valutativo» nei confronti dei poliziotti condannati in Cassazione.
Può essere utile, per comprendere la decisione del tribunale di sorveglianza che ha sorpreso le difese degli imputati, leggere le motivazioni che hanno spinto i loro colleghi di Bologna a negare l'affidamento ai servizi, e in quel caso anche i domiciliari, ai quattro poliziotti che uccisero Federico Aldrovandi.
I loro difensori hanno ricordato che erano incensurati ma per il giudice bolognese è «una condizione doverosa» per chi fa un mestiere del genere. Non solo: «Pubblici ufficiali, privi di proedecenti disciplinari, sono infatti portatori di un ben diverso onere di lealtà e correttezza processuale, rispetto a un imputato comune, e avrebbero dovuto portare un contributo di verità, ad onta delle manipolazioni ordite dai superiori. Il non avere voluto squarciare il velo della cortina di manipolazioni delle fonti di prova, tessuta fin dalle prime ore ... getta una luce negativa sulla personalità degli appellanti». Con buona pace dell'«onorevole stato di servizio» vantato dalle difese. Ma i quattro anche al processo «hanno omesso di fornire un contributo di verità, da reputarsi doveroso da parte di pubblici ufficiali». Invece no, loro hanno coperto i superiori che li coprivano! «Alla gravità della colpa - scrive ancora il Tribunale - si associano gli aspetti negativi più propriamente processuali con l'assenza di concreti segni di pentimento e di consapevolezza degli errori commessi, tradottisi in palesi menzogne e ostacoli all'accertamento della verità».
Inaffidabili, dunque, senza autocontrollo né capacità di gestire adeguatamente una situazione. Ecco perché, per i giudici «non è dato di individuare una positiva evoluzione della personalità dei soggetti» che non hanno nemmeno «provato a mostrare l'effettiva comprensione della vicenda delittuosa». E autocritica o gesti simbolici, in sintesi, nemmeno a parlarne.