HANNO avuto dodici anni di tempo e non è mai passato per la loro mente di farlo. Ora la Giustizia concede loro altri otto mesi: per scrivere una lettera di scuse e per aprire il portafogli e cominciare a risarcire le loro vittime.
Soluzione inattesa, e per certi versi incurante di alcune apparenti contraddizioni, quella presa ieri dal Tribunale di Sorveglianza di Genova che deve decidere se far scontare le condanne definitive in carcere oppure affidarli ai servizi sociali, ai 17 funzionari di polizia ritenuti responsabili dei falsi della scuola Diaz del G8 2001. Il procuratore generale Vito Monetti, nella memoria depositata due settimane fa ma non vincolante, aveva sottolineato come moralmente e materialmente i super poliziotti (in particolare i vertici di allora del corpo, Francesco Gratteri, Gianni Luperi e Gilberto Caldarozzi) non avessero dimostrato il minimo segno di pentimento per i loro comportamenti e neppure avessero mai risarcito un euro ai 93 manifestanti massacrati e accusati con prove false. Di qui una posizione contraria del pg alla concessione dei benefici se non per le posizioni gerarchicamente inferiori, e infatti ieri è stato dato parere favorevole ai benefici per l'ispettore Massimo Mazzoni. Nonostante l'"avvertimento" di Monetti, in questi quindici giorni nessuno ha modificato la propria linea, che è sempre la stessa da dodici anni: sono altri che hanno pestato i manifestanti e noi abbiamo sbagliato in buona fede.
Nell'udienza di ieri, l'avvocato generale Luigi Carli, in rappresentanza anche della Procura ha chiesto, prima di formulare la propria valutazione definitiva, un tangibile segno riparatore da parte dei superpoliziotti e il Tribunale ha accolto la proposta fissando una nuova udienza al 5 dicembre. Gratteri, Luperi, Caldarozzi e poi Spartaco Mortola o Filippo Ferri, per citarne alcuni, dovranno da un lato scrivere una lettera collettiva in cui dimostrino di essere consapevoli delle loro colpe e poi chiedano scusa alle vittime.
Un passo difficilissimo per alcuni di loro che - con l'avallo degli ex capi Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli che ne fecero progredire le carriere - non hanno mai ammesso di essersi macchiati di reati i quali, invece, secondo i giudici di Cassazione, hanno «leso l'onore della polizia italiana» davanti al mondo.
E poi quale grado di sincerità avrebbe una lettera di presa di coscienza, quando gli stessi funzionari hanno presentato addirittura ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'uomo per tentare di ribaltare un verdetto definitivo che ritengono ingiusto? Il Tribunale di Sorveglianza si accontenterà di un "compitino" o vorrà leggere parole di schietto pentimento? Capitolo a parte quello economico, visto che si chiede, anche qui, almeno uno sforzo simbolico di risarcimento, proprio mentre la Corte dei Conti sta per iniziare le procedure di citazione.
Certo è che, ad oggi, qualcuno dei condannati della Diaz non sembra ancora essersi reso conto di trovarsi dall'altra parte della barricata. Ieri mattina, Gratteri ha iniziato a parlare al Tribunale rimanendo seduto al suo posto. Nessuno, in aula, gli ha ricordato che i condannati devono alzarsi in piedi quando si rivolgono alla Giustizia. Ci ha dovuto pensare un commesso, che si è avvicinato al prefetto Gratteri e gli ha fatto un gesto inequivocabile. In ogni caso altri otto mesi per articolare scuse credibili e continuare l'opera di volontariato presso Caritas, associazioni antiusura, gruppo Abele, pubbliche assistenze, ma con la concreta speranza di evitare la galera. Ieri sono stati sentiti Gratteri, Luperi, Mortola, Mazzoni e Pietro Troiani. Oggi tocca a Caldarozzi, Renzo Cerchi, Davide Di Novi, Carlo Di Sarro (per gli ultimi tre la procura generale ha già dato parere favorevole per i benefici).