I super poliziotti condannati in Cassazione per le violenze e i falsi verbali della scuola Diaz del G8 di Genova 2001 non meritano l'affidamento al servizio sociale ma devono andare in carcere. Lo sostiene, seppur con dei distinguo gerarchici, la Procura generale di Genova nella memoria di 21 pagine depositate per l'inizio delle udienze davanti al Tribunale di sorveglianza. I giudici stabiliranno se i 17 condannati debbano finire in cella oppure possano ottenere i benefici previsti dalla legge. Hanno commesso reati gravissimi e infamanti, non si sono mai pentiti manifestando «indifferenza assoluta per le loro vittime», addirittura le loro carriere sono progredite, e poi «nessuno di loro ha minimamente provveduto a risarcire i danni alle parti civili», e quanto ai loro propositi di trasformarsi in volontari si tratta di istanze «evanescenti». Sono queste le obiezioni del Pg Vito Monetti.
«Con riferimento all'esame delle istanze di misure alternative - scrive Monetti - questo ufficio ha per talune di esse già valutato negativamente la ricorrenza dei presupposti di concessione delle stesse».
Il magistrato differenzia tra le posizioni dei subordinati e quelle dei massimi dirigenti della polizia dell'epoca come Francesco Gratteri, Gilberto Caldarozzi, Giovanni Luperi, che hanno fatto la storia dell'antimafia e della lotta al terrorismo ma che, per i giudici, «hanno leso l'onore di tutta la polizia italiana» davanti al mondo.
Monetti elenca i parametri per valutare le loro richieste. Ma per ogni punto i poliziotti della Diaz ne escono (almeno loro in senso figurato) con le ossa rotte. Il Pg ricorda che i reati che hanno commesso e che dovevano servire a coprire violenze e abusi che in Europa sono considerati tortura, dovrebbero essere puniti con una pena «che non deve essere simbolica o senza pratiche conseguenze ». Nel caso Diaz, invece, con buona parte dei reati prescritti la pena perde l'effetto di «deterrenza».
Monetti passa poi ad esaminare le condotte successive al reato. Ma anche qui «il quadro che emerge appare di segno decisamente negativo». Si parla di «assoluta mancanza di segni di resipiscenza per l'accaduto», assenza «della doverosa collaborazione al procuratore della Pepubblica», e ancora «tutti i condannati hanno sostanzialmente inteso scaricare eventuali responsabilità su altri». Secolo Monetti «l'incapacità della presa di coscienza» è dovuta anche ai legami interni alla polizia dove tutti i «condannati sono rimasti in posizioni di rilievo».
Quanto poi ai risarcimenti mancati, il primo passo secondo Monetti sarebbe stata la «considerazione della sofferenza causata alle vittime» ma, invece, «non è dato scorgere alcun sintomo di un mutato atteggiamento», anzi «assoluta indifferenza nei confronti delle vittime». Versante economico, neppure un soldo è arrivato dai condannati ma solo, e parzialmente, dallo Stato.
Quanto alle richieste di affidamento e ai progetti di lavori socialmente utili (Gratteri con un'associazione anti-usura, Luperi alla Croce Rossa, altri al gruppo Abele di Torino) secondo Monetti si tratta di proposte contrassegnate da «un'estrema genericità ».