Questa è una storia di cui ci dobbiamo vergognare, dice la Cassazione.
Tutti. Perché sono undici anni che pesa sulle coscienze del nostro Paese.
Scuola Diaz, il G8 di Genova. I colpevoli che non hanno mai chiesto scusa e sono rimasti al loro posto, nonostante le condanne. Che sono stati promossi, mentre intorno si faceva finta di nulla, aspettando che il tempo cancellasse tutto quel sangue. Però ieri la Suprema Corte ha fermato l'orologio del silenzio, lo ha fatto con parole che non si possono più ignorare. «È stato gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero», scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza per il sanguinario assalto. All'inizio del luglio scorso erano state confermate le condanne in appello nei confronti di "celerini" e dei vertici del ministero dell'Interno: di chi a colpi di manganello spezzò braccia, frantumò denti, spaccò teste, di chi ordinò il massacro, di chi fece finta di nulla, di chi provò a truccare le carte dell'indagine. Tre mesi dopo i giudici spiegano il perché di quella decisione. E nelle 186 pagine del provvedimento c'è un monito a non dimenticare. Mai.
LA MACELLERIA
«Fu un puro esercizio di violenza ». Una operazione «militarizzata » e condotta «in maniera cinica e sadica». Il primo ad essere ricordato dai giudici è colui che non è mai stato condannato, neppure indagato in questa inchiesta. Gianni De Gennaro nel luglio 2001 era il capo della polizia. Fu lui «ad esortare i suoi ad eseguire arresti». «C'era da riscattare l'immagine della polizia italiana, apparsa inerte di fronte ai gravissimi episodi di saccheggio e devastazione della città». Nel pomeriggio di domenica, un giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, le televisioni internazionali avevano mandato in diretta gli scontri davanti a piazzale Kennedy, il black bloc che distruggeva le vetrine, alzava barricate ed incendiava auto, mentre le forze dell'ordine replicavano caricando i pacifisti di corso Italia. De Gennaro disse basta. Ci volevano prigionieri. E da Roma mandò il prefetto Arnaldo La Barbera. La scuola Diaz, allora. Dove forse si nascondevano alcuni devastatori.
Ma quell'esortazione «ha finito con l'avere il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito della perquisizione stessa».
MESSINSCENA DOPO IL PESTAGGIO
«Ognuno conosce i suoi animali. E qui le cose non vanno bene». La Barbera aveva fiutato che quella notte gli agenti erano troppo eccitati, nervosi. Ma non c'era più tempo per fermare la macchina. «Fu un sistematico ed ingiustificato uso della forza». I no-global a mani alzate, gli altri che gridavano «bastardi» e colpivano alla cieca. Furono «colluttazioni unilaterali », come raccontò il vice-questore Michelangelo Fournier (quello che denunciò la «macelleria messicana ») senza rendersi conto della grottesca drammaticità di quell'espressione. E dopo il massacro cominciò «una scellerata operazione mistificatoria». Le due molotov falsamente attribuite ai ragazzi della Diaz e invece portate dentro dai poliziotti, le finte coltellate ad un agente, l'arsenale inventato di sana pianta. Tutto fasullo, per giustificare il sangue e gli arresti. Servivano prigionieri, quel G8 avrebbe fatto fare carriera a tutti: costi quel che costi. E i superpoliziotti erano «perfettamente consapevoli» della vergognosa messinscena.
L'ACCUSA DI TORTURA
Il 5 luglio scorso sono stati tutti condannati, e tra di loro Francesco Gratteri, oggi capo dell'Anticrimine, Giovanni Luperi al vertice del reparto analisi dell'Aisi, Gilberto Calderozzi, numero uno dello Sco. Pene superiori ai tre anni e mezzo, con l'interdizione dei pubblici uffici. Il ministero dell'Interno è stato costretto a sospenderli, ma non ha avviato alcun provvedimento disciplinare. Non ancora. «Dopo queste motivazioni qualcosa il Viminale dovrà muoversi, se davvero vuole fare pulizia», spiega Emanuele Tambuscio, uno dei legali delle vittime. «Altri funzionari condannati per il G8 sono rimasti tranquillamente al loro posto. E poi ci sono i "celerini": per loro è intervenuta la prescrizione, ma il massacro l'hanno compiuto. Il ministero continuerà a fare finta di nulla?». Il pestaggio dei no-global era equiparabile al reato di «tortura», ha detto la Cassazione. Però, «la pretesa che la Corte costituzionale, con una sua pronuncia, possa espandere l'area dell'imprescrittibilità ad ipotesi attualmente non previste si pone al di fuori dei poteri della Corte».
Niente da fare: il reato di tortura non è disciplinato dalle leggi italiane. Argomento questo su cui la Corte Europea di Strasburgo ci ha già gettato ampio «discredito » agli occhi del mondo argomentando sui casi di Carlo Giuliani e della caserma di Bolzaneto.
IL PASSATO NON CONTA
Il comportamento dei funzionari alla Diaz fu «odioso», scrive la Cassazione. Ricorrendo alla Corte, i superpoliziotti - e insieme a loro il ministero dell'Interno - hanno fatto riferimento alle «brillanti carriere» dei condannati. Come dire: Caldarozzi, che ha arrestato Brusca e Bagarella, merita un trattamento diverso. «I percorsi professionali non hanno rilievo», ha replicato secca la Cassazione. La legge è uguale per tutti. Nel frattempo la Procura generale del capoluogo ligure ha dichiarato "ammissibili" le istanze con cui i funzionari della polizia hanno chiesto l'affidamento ai servizi sociali per scontare la pena fuori dal carcere. Lo ha confermato uno dei loro avvocati, Marco Corini: «Ora gli atti sono stati trasmessi alla magistratura di sorveglianza che dirà la parola finale. L'udienza, probabilmente, si terrà con l'anno nuovo. Nel frattempo la pena è sospesa».
"Ora si dimetta da sottosegretario" sinistra e radicali tornano alla carica
ROMA
- La sinistra radicale chiede la dimissioni dell'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, oggi nel governo Monti sottosegretario alla Sicurezza con delega ai Servizi. È l'allora portavoce del Genoa Social Forum, il medico Vittorio Agnoletto, ad attaccare: «Le motivazioni della Cassazione sulla scuola Diaz sono quasi più importanti della sentenza stessa. Chiamano in causa De Gennaro che come capo della polizia invitò gli agenti ad arresti di massa. Le sue indicazioni hanno prevalso sul rispetto della legalità, per questo si deve dimettere ». Sostiene Agnoletto: «La Cassazione con queste motivazioni apre un'altra questione: è impensabile che il capo della polizia abbia potuto dare ordini senza consultare o almeno informare i responsabili politici e, quindi, l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro dell'Interno Claudio Scajola. Sono loro le responsabilità politiche di quella notte». In una nota, il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, scrive: «La cosa più vergognosa è che l'allora capo della polizia Gianni De Gennaro goda ancora della fiducia della politica e rivesta ancora ruoli istituzionali di primo piano». Per i Radicali «era già parsa inopportuna la nomina dell'ex capo della polizia», scrive Marco Perduca, co-vicepresidente del Senato, «ma dopo le motivazioni della Cassazione sulla sentenza Diaz mi pare difficile che De Gennaro possa restare dov'è».
"I colpevoli hanno fatto carriera all'estero avrebbero già lasciato"
ROMA
- «La notte della Diaz è stato il Ground Zero della polizia e della democrazia italiana. È crollato tutto. Questa sentenza e le sue motivazioni sono il primo passo verso la ricostruzione di un rapporto di fiducia verso i cittadini. Verso il mondo intero, che non ha dimenticato quello che è successo a Genova. Ma non basta». Mark Covell è il giornalista inglese che quella sera fu aggredito fuori dall'istituto di via Cesare Battisti, preso a calci e pugni: le costole rotte, un polmone perforato, quattro denti perduti, in fin di vita per tre giorni. Non bastano queste motivazioni, per ricostruire. «No. Servono fatti concreti. Le dimissioni di Gianni De Gennaro, tanto per cominciare. Ma poi è tutta la politica italiana che deve finalmente interrogarsi. Non possono continuare a fare finta di niente, ad ignorare l'evidenza. Il sangue, le bugie».
In Inghilterra non sarebbe successo? «In Inghilterra, e in tutti i paesi civili, i colpevoli si sarebbero assunti le loro responsabilità di fronte all'evidenza dei fatti. Per non dire poi delle condanne: ma come si fa a non dimettersi, a continuare a fare carriera? Ma quale Paese può accettare una cosa del genere?». Un Paese dove però i giudici sono andati sino in fondo. «Sono molto orgoglioso di avere conosciuto persone come Enrico Zucca, il pm che per tutti questi anni ha sopportato pressioni incredibili ma ha trovato la forza di andare avanti. È perché c'è gente come lui, che sono sicuro che riuscirete a recuperare un rapporto di fiducia con le istituzioni. Ma qualcuno deve andarsene. Ci vuole un esempio, perché se i primi ad ignorare la legge sono quelli che dovrebbero farla rispettare, è finita». Domani a Roma otterrà un risarcimento di 350.000 euro dal ministero dell'Interno per le violenze che ha subìto. «La mia vita è stata distrutta. Ho perso la salute, ma non la voglia di lottare. E spero in un'altra inchiesta ancora». Quella sul suo tentato omicidio, davanti alla Diaz. «È rimasta a carico di ignoti. C'è un filmato che riprende i miei carnefici. Ma nessun poliziotto, nessun collega, li ha riconosciuti. Omertà. Da dieci anni. Spartaco Mortola mi ha visto a terra, sul marciapiede, ma poi ha scritto che mi avevano trovato dentro la scuola. E il loro capo, Antonio Manganelli, dice che vuole fare pulizia: ma come fate a fidarvi di persone così?».