Una sentenza che per alcuni aspetti "è un atto di forza", in certi passaggi si muove con "assoluta leggerezza", oppure "tace" e ancora, invece di guardare al diritto, si tuffa nei fatti. E poi la politica che in maniera ipocrita delega all'apparato giudiziario le "sue responsabilità".
Enrico Zucca, oggi procuratore generale in Corte d'Appello, pm d'accusa (con il collega Francesco Albini Cardona) dell'inchiesta sull'irruzione alla scuola Diaz nel G8 di Genova, con un commento di due pagine sul numero di luglio della rivista Altraeconomia - dove da alcuni mesi ha una sua rubrica "In punta di diritto" - esprime tutte le sue riserve, tecniche, sulla sentenza con cui di recente, la Corte di Cassazione, ha assolto il prefetto Gianni De Gennaro. Il capo della polizia del 2001, oggi potente uomo di governo con delega ai servizi segreti, era accusato di aver indotto alla falsa testimonianza l'allora questore di Genova Francesco Colucci (ancora sotto processo) su chi coordinò la gestione mediatica del vergognoso e fallimentare blitz sfociato nella "macelleria messicana".
Zucca contesta alla Cassazione di non esser stata neppure interessata a "spiegare perché (De Gennaro, ndr) citato come testimone abbia sentito la necessità di colloquiare con un altro testimone... per concordare una versione comune". La Cassazione "pur dovendosi pronunciare soltanto in tema di diritto" secondo Zucca interviene sui fatti. Per la Corte sostiene il pg: "il teste può mentire ma non commette reato se ciò che falsamente dice è insignificante". Proprio sulla rilevanza del fatto, e se può essere ignorato o vada perseguito, Zucca analizza le diverse interpretazioni sul tema della stessa Cassazione che, in passato, era stata molto più "sbrigativa" nel ritenere reato una dichiarazione non vera.
"Le certezze della Cassazione - attacca Zucca - appaiono... un atto di forza più che di autorità persuasiva".
E più avanti "la Corte non ha avuto alcuna remora a immergersi completamente nel fatto... con una prosa paludata che ricorda la Cassazione d'antan...".
Zucca è colpito "dall'assoluta leggerezza con cui si rinuncia a stigmatizzare la condotta dei testimoni che si accordano fra loro e con gli imputati". E quando la Cassazione ne evidenzia l'inopportunità lo fa non con le sue ma ricorrendo alle parole dei giudici di secondo grado. Scompaiono, secondo il pg genovese, "la durezza dello scontro istituzionale... la necessità di garantire la genuinità della prova... di un processo tra i più complessi della storia recente...".
Così Zucca lancia una provocazione: "Provate a immaginare" dice, ed ecco i paragoni con un datore di lavoro che chiama il suo dipendente mentre c'è un ballo un processo per un infortunio, oppure testimoni in un processo per spaccio che telefonano agli imputati e gli "spiegano come sono andate le cose... E immaginate lo stesso aplomb della Suprema Corte".
L'analisi si conclude con un'amara ironia sull'assenza della politica che, pare a Zucca "in apparente ossequio al giudiziario, delega gran parte delle sue responsabilità... tutti aspettavano la giustizia in Cassazione promuovendo l'inarrestabile carriera del prefetto e ignorando le lunghe e alterne vicende processuali. Avevano visto bene. Che siano tutti grandi giuristi come nella Suprema Corte?".