VENERDÌ a Roma, davanti alla sede della Corte di Cassazione si daranno appuntamento le vittime della Diaz, i ragazzi massacrati e accusati con prove false dalla polizia di essere i black bloc del G8 genovese del 2001.
Ma da uno dei processi più importanti della storia italiana repubblicana resta fuori dalla porta la «tortura ».
Ieri, infatti, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Pietro Gaeta, nella sua requisitoria davanti alla Quinta sezione per il processo ai poliziotti, ha infatti sposato la linea «tradizionalista» della Suprema Corte, ovvero quella che salvaguarda la «riserva di legge» dei singoli stati a dispetto degli indirizzi europei. Il pg Gaeta ha detto «no» al ricorso della Procura generale di Genova, che chiedeva pene più elevate per l'applicazione dell'aggravante della tortura in forza della convenzione europea applicata da numerose sentenze della Corte europea.
La Procura generale di Genova aveva avanzato tale richiesta sottolineando come la Corte Europea abbia stabilito che trattamenti inumani, degradanti e tortura siano reati imprescrittibili. Gli Stati che devono ancora applicare queste indicazioni (e tra i ritardatari cronici c'è l'Italia) al momento in cui dovranno recepire questo indirizzo non potranno fare altro che dichiarare la tortura un reato senza prescrizione.
Importanti giuristi come ad esempio Viviana Zanetti, sul caso specifico hanno invocato una «soluzione per così dire a rime obbligate, trattandosi qui semplicemente di dare esecuzione ad un preciso obbligo che impone l'imprescrittibilità dei fatti di tortura o di trattamenti inumani e degradanti commessi da pubblici ufficiali». Nonostante questa sia una strada obbligata, la Cassazione ad oggi si muove su un percorso più «tradizionale», che rifiuta interpretazioni che si intromettano nel potere legislativo nazionale. E visto che, ad oggi, il reato di tortura non è contemplato dal nostro ordinamento (Amnesty International ha più volte criticato i nostri governi di destra e sinistra per questa ragione), il pg Gaeta ha rilevato che su questa materia «c'è la riserva di legge», pertanto rientra nella competenza di ogni singolo stato nazionale.
Ad avviso del pg, inoltre, «la concessione delle attenuanti generiche, a favore degli imputati, non può essere messa in discussione dalla sollecitazione a ritenere imprescrittibile l'accusa di tortura». Un passaggio che si riferiva alla posizione di Michelangelo Fournier l'ex vicecapo della celere romana che riconobbe come la notte della Diaz fu «una macelleria messicana». Nel corso dell'udienza è stata respinta la richiesta dei difensori degli imputati di riascoltare i testimoni.
Il pg, oggi, concluderà la sua requisitoria e affronterà i singoli ricorsi dei 25 imputati. A Roma ieri era presente solo uno dei «massacrati» della Diaz, il giornalista inglese Mark Covell (per la sua aggressione venne aperto un fascicolo per tentato omicidio ma fu impossibile scoprire i picchiatori in divisa). «Ho piena fiducia nei giudici della Suprema Corte - ha detto Covell - anche se so che il verdetto sulle violenze di quella notte, alla Scuola Diaz, sarà comunque controverso: ma se dovesse andare male e finisse con le assoluzioni dei poliziotti sarebbe preoccupante per il futuro democratico dell'Italia». «Venerdì giorno della sentenza - aggiunge - arriveranno anche le altre persone che sono state picchiate insieme a me».