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"Diaz" di Daniele Vicari: il punto non è cliccare su "mi piace", ma domandarsi se è utile
Francesco "baro" Barilli
27 aprile 2012

Ho letto diversi commenti a "Diaz" di Daniele Vicari. Assai variegati: anche persone che conosco e stimo hanno dato pareri diversissimi. Il dibattito su "Diaz" mi sembra simile a quello sviluppatosi su "Romanzo di una strage", film di Marco Tullio Giordana su P. Fontana (a quella discussione ho partecipato attivamente essendo stato in passato uno dei più severi critici del libro di Paolo Cucchiarelli a cui quel film è liberamente ispirato). In entrambi i casi le critiche vertono su quanto di "non detto" che, nel film, depotenzia anche il raccontato. Credo che, specie nel caso di "Diaz", il dibattito centri solo parzialmente il problema. Che secondo me è: un film diverso sarebbe stato possibile farlo? Chi l'avrebbe prodotto e distribuito? Con quale riscontro quantitativo di pubblico?
Credo dia molto da pensare il fatto che la "cultura impegnata" (film, libri e quant'altro) in questo paese oggi sia strangolata fra due opzioni. Nel circuito "underground-alternativo" si può "dire tutta la verità, anche scomoda", ma si finisce col predicare ai convertiti. Nel circuito mainstream si è costretti a edulcorare il messaggio, ma si riesce a veicolarlo a un numero maggiore di persone. Una ben triste scelta...

Il problema però non è se "Diaz" sia bello o brutto, se sia aderente o meno alla realtà o alle evidenze processuali, se l'autore sia stato "troppo timido" eccetera. Il punto è, brutalmente, se questo film "serve". A veicolare un messaggio, a risvegliare coscienze. E si deve riconoscere che su fatti come Genova o Piazza Fontana - dove le sentenze hanno dato poco (sulla Diaz vedremo: la Cassazione è a giugno) e la politica molto meno o nulla - libri, cinema e teatro, seppure con i loro limiti, fanno ancora vibrare coscienze, alimentano la discussione.
Una postilla, che può sembrare autoreferenziale ma è, invece, solo per chiarezza. Chi scrive tre anni fa è stato autore, con Checchino Antonini e Dario Rossi di "Scuola Diaz: vergogna di stato" (Edizioni Alegre), in cui ricostruivamo i fatti attraverso la requisitoria dei Pm pronunciata nel processo di primo grado: potete facilmente supporre quindi quale sia il mio parere sui fatti e sui limiti del lavoro di Vicari. Però non mi sfugge una constatazione: sia per "Romanzo di una strage" che per "Diaz", i pareri dei diretti interessati (i familiari delle vittime del 12 dicembre 69, chi fu massacrato nella scuola nel 2001 - penso a Christian Mirra) sono stati sostanzialmente positivi. Sul film di Giordana ho detto che, pur con varie critiche, il saldo è positivo; su "Diaz" Christian ha scritto: "Procacci e Vicari ci hanno regalato un mezzo potente per capire che siamo su una rotta sbagliata. Ora sta a noi scavare nei fatti alla ricerca di risposte, trovare i responsabili, chiedere giustizia e riforme democratiche". Parole sagge: giusto dirci che il film poteva dare di più, ma si deve partire da quelle.

Questo Paese non è ancora stato del tutto sconfitto da trent'anni di pessima televisione, informazione addomesticata e "salotti culturali" anestetizzati. Sconfitto no, ma colpito duramente sì... Viviamo in una realtà in cui la commissione parlamentare d'inchiesta su Genova è stata sempre negata, persino dalla maggioranza di centrosinistra dopo averla promessa per iscritto nel proprio programma elettorale. Applicando un criterio proporzionale, se ci si scandalizza di Vicari per il suo "Diaz" i referenti politici di quella stagione dovrebbero essere lapidati...
Quindi il punto non è "accontentarsi perché questo è quel che passa il convento, coi tempi che corrono". Il punto è saper partire dalle cose positive e di denuncia di film come "Diaz" o "Romanzo di una strage" (entrambi ne hanno: questo è poco ma sicuro) per ricostruire un tessuto sociale e culturale dove siano possibili, anche per il grande pubblico, opere di denuncia che abbiano ancora più spessore. Perché sono i film ad essere figli del proprio tempo e non il contrario. E siamo noi - e non i film - a poter rendere migliore il tempo in cui viviamo.

Francesco "baro" Barilli