LA FURIA dei tonfa, i manganelli dall´impugnatura a "T", è un rumore raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale allagano il parquet della palestra scolastica, sbaffano gli intonaci, gocciano dai termosifoni, in un Sabba infernale di grida, lamenti, che hanno il suono osceno di bestie portate al macello. Nella piccola sala di proiezione privata, Michael Geiser torna a vederseli addosso.
Quattrocento poliziotti, o quanti diavolo erano. Scuote la testa percorso da un tremore improvviso. Come un naufrago, si afferra ai braccioli della poltroncina. Gli occhi si allagano di lacrime che cominciano a rigargli le guance di uomo di mezza età, quale ormai è diventato. E non c´è verso di ricacciarle indietro. Seduti accanto a lui, nel buio, due poliziotti, Claudio Giardullo e Franco Maccari, sono silhouette di pietra. Vedono per primi immagini che il Viminale e la polizia italiana non ha sin qui ritenuto di vedere e che attendono come una calamità. Le due ore di Diaz di Daniele Vicari sono una potentissima macchina del tempo, un coraggioso documento civile che strappa il rimosso di una notte di luglio di 11 anni fa al buio in cui la cattiva coscienza del Paese ha cacciato i giorni del G8 di Genova. Le immagini arrivano dove la parola - testimonianza o atto processuale che sia - non può o non è potuta arrivare.
Non coltiva rancore, Michael. «Non mi piace, non mi è mai piaciuto sentirmi o definirmi una vittima. Perché è una condizione esistenziale che ti annichilisce una seconda volta». Il tempo gli ha regalato una doppia paternità, una vita serena nel sud della Francia. La giustizia penale del nostro Paese lo ha risarcito sin qui con una "provvisionale" di 5 mila euro, identica a quella ricevuta dai 93 ragazzi che come lui vennero prima pestati e quindi oltraggiati dalla costruzione di false prove nel "complesso scolastico Diaz". E lui, ora, in questa sala di proiezione, si ritrova a sussurrare la stessa domanda che gridò la notte del 21 luglio 2001, mentre si copriva la testa e il corpo dalla furia dei suoi aggressori: «Perché?». «Perché?», cantilena una, due, tre, dieci volte. La domanda diventa quasi un´implorazione quando le immagini stringono sulla prigione di "Bolzaneto". Quando Michael torna ad essere vinto dal pianto e persino il proiezionista abbassa lo sguardo dallo schermo che stringe su una ragazza, già umiliata nel corpo, cui viene ordinato di pulirsi del suo sangue mestruale con una lurida palla di giornale. «Perché?».
Claudio Giardullo osserva Michael con pudore. Ha comandato fino a pochi mesi prima del G8 di Genova il Reparto Prevenzione Crimine di Roma. Nei giorni della Diaz era già segretario generale del "Silp". «Vorrei che tu sapessi che sono un poliziotto di sinistra. Rappresento i lavoratori della Cgil». Franco Maccari gli tende la mano. «Sono un poliziotto anche io. Ma di destra. Anche io difendo i lavoratori della polizia. Sono il segretario del "Coisp" e sono cresciuto nel reparto Mobile di Padova. A Genova c´ero anch´io. Accompagnai il vicepresidente del Consiglio Fini nella sua visita alla sala Operativa». Michael li osserva con curiosità. Capisce che sono d´accordo su una cosa sola. «Quello che è successo è ingiustificabile», dice Claudio. «Un errore gravissimo», chiosa Franco. «E dunque?», sorride Michael.
Michael crede nella forza della memoria: «Se non ricordiamo, quello che accadde allora si ripeterà». E a luci accese in sala, quando ai tre si avvicinano anche il regista del film e il produttore, Domenico Procacci, Maccari mette da parte ogni diplomazia. «È vero che la memoria è importante. Ma cosa pensi dovremmo fare, Michael? Andare ogni sera a letto e ricordarci della Diaz ripetendo che non accadrà più, come fosse una preghierina? Andiamo... La polizia è cambiata. Sono undici anni che ci facciamo un culo come un secchio per cercare di far capire che la polizia italiana è un´altra cosa. Posso dirtelo e dirvelo? Il film è coraggioso, ma è anche un obbrobrio. Che senso ha ricordare così? Serve solo a ricacciarci tutti indietro al punto di partenza. A farci rimanere inchiodati al risentimento di quel giorno maledetto. A me interessa il presente. La riforma dell´articolo 18, l´Europa dei banchieri. Sono un poliziotto ma scendo in piazza anch´io, che credi». Michael lo interrompe: «E non pensi che la violenza silenziosa dell´Europa dei tecnocrati sia cominciata quel giorno? Quando la polizia italiana ha cancellato politicamente un´intera generazione, mostrando che il dissenso non era ammesso? Lo sai che quella notte, quando la polizia arrivò alla Diaz io mi stavo lavando i denti e litigai con gli altri, dentro la scuola, che volevano barricarsi? Lo sai cosa dissi? "Perché dobbiamo avere paura della polizia? Non abbiamo fatto nulla di male". Mi sbagliavo. E questo è un problema. Se i miei, i tuoi figli si convincono che non c´è spazio per il dissenso, per immaginare un mondo diverso, nei prossimi mesi l´Europa diventerà un campo di battaglia. La polizia deve garantire questa libertà». Maccari si fa serio: «Michael, quella che dici è un´ovvietà, perdonami. Perché noi poliziotti questa libertà la garantiamo».
Giardullo ha un moto di insofferenza. «È vero, Franco. Ma ammetti che a Genova non andò così. Non dire che così il film non serve. Piuttosto, dimmi che in questo film manca la Politica. Mancano i politici che tu accompagnavi quei giorni a Genova e che non si capisce che diavolo ci facessero in un "teatro operativo già aperto"». «Ancora con la Politica? Genova fu un gravissimo errore tecnico. Punto. Perché venne commissariata la legittima catena di comando. Ancora con questo mito di Fini in questura... Portò il saluto del governo. Non doveva?». «Ancora sì con la politica. A Genova fummo strumento di un raffinatissimo disegno del governo di centro-destra che intendeva terrorizzare i moderati di questo Paese. Per convincerli che la piazza era un luogo senza ritorno. Un disegno riuscito. E infatti credo che la scena più illuminante del film sia la battuta che un negoziante della città rivolge a uno dei ragazzi del Social Forum quando tutto è finito: "Che avete combinato?", dice. Ecco. Qui è la chiave. La Polizia non dovrà mai più essere strumento di disegni politici. E questo film credo aiuti a ricordare che la democrazia ha bisogno di costante manutenzione». Michael interrompe i due poliziotti. «Non si può essere neutrali rispetto a quella notte. Perché se non si è parte della soluzione, si è parte del problema». È un candore che, ancora una volta, mette a nudo il rimosso di Genova. Ma che aiuta almeno a sciogliere le emozioni. Giardullo stringe le spalle di Michael. «Non sono mai stato neutrale, credimi». Maccari lo saluta afferrandogli con entrambe le mani l´avambraccio: «Sono contento di averti conosciuto. Davvero. E per quello che può valere, mi dispiace per quello che ti è successo».