Scoprire che uno dei processi più importanti della storia d´Italia rischia il limbo della prescrizione per colpa di quindici banalissimi talloncini di ricevuta di ritorno, è un´esperienza sconcertante. Non riuscire a capire di chi sia la responsabilità dell´ingranaggio inceppato è invece inquietante.
D´altra parte, la storia giudiziaria, mediatica e politica del brutale assalto alla scuola Diaz durante il G8 del 2001, è contrassegnata da ostacoli naturali e artificiali che ne hanno rallentato e nascosto l´accertamento delle responsabilità.
Questo ultimo capitolo lo racconta a Repubblica il giudice Mario Torti, presidente della Corte d´Appello di Genova, da alcuni mesi nel mirino sia della procura Generale che degli avvocati delle parti civili della Diaz (i 93 ragazzi massacrati dalla polizia), che lo avevano sollecitato, già ad aprile, a capire perché gli atti del processo, a un anno e mezzo dalla sentenza di condanna per 27 alti funzionari di polizia, fossero ancora fermi nella cancelleria del Palazzo di giustizia di Genova invece di esser stati trasmessi alla Corte di Cassazione. Un ritardo monstre che, oltre a contravvenire alle norme della Corte Europea dei Diritti dell´Uomo, rischia di vanificare con la prescrizione dieci anni di indagini difficilissime. Dei due reati non ancora prescritti (falsi e lesioni gravi), il falso si prescriverà agli inizi del 2013 e considerata la delicatezza della vicenda e possibili lungaggini in corso d´opera, un anno potrebbe non bastare alla Cassazione per pronunciarsi.
Presidente Torti, cosa succede all´incartamento Diaz.
«Che mancano ancora 15 ricevute di notifiche, quindici talloncini, per capirci, da allegare al fascicolo da mandare in Cassazione. Fossero solo un paio, potremmo spedire tutto lo stesso ma con quindici rischiamo di farci rimandare in dietro tutto quanto».
Concretamente dove sta l´intoppo?
«Gli ufficiali giudiziari le notifiche (agli imputati, ndr) le hanno fatte tutte. Cosa ci manca, per parlare in termini postali, è la ricevuta di ritorno che riteniamo sia ferma a Roma presso gli stessi ufficiali giudiziari».
La sentenza è del maggio 2010, a ottobre erano stati presentati i ricorsi. Di tempo ne è passato parecchio. Lei ha controllato personalmente?
«No, ho incaricato la responsabile della nostra cancelleria di farlo».
Lei però è responsabile dell´ufficio e a lei erano giunti i solleciti, forse siete partiti in ritardo.
«In effetti sono stato sollecitato dalla procura Generale (in primavera era stato il Pg Luciano Di Noto, oggi in pensione, a chiedere che l´incredibile impasse fosse sbloccata, ndr), e dagli avvocati delle parti civili. A mia volta ho chiesto ai dirigenti degli uffici e la risposta è questa: aspettiamo le ricevute».
Lei sa che tanti ritengono che il ritardo sia strettamente correlato ai nomi degli imputati, alcuni dei massimi dirigenti della polizia, condannati a pene pesanti in appello.
«Guardi, posso risponderle che a chiedermi informazioni sulla trasmissione degli atti a Roma sono stati anche alcuni avvocati difensori degli imputati, segno che anche per loro c´è interesse ad andare in Cassazione in tempi rapidi».
Lei può sollecitare ulteriormente?
«Abitualmente non mi occupo di questi aspetti. L´ho fatto per questa vicenda particolare. Come ho già detto, ho chiesto alla dirigente della cancelleria di attivarsi, ma non possiamo far altro che aspettare».
Il ritardo viola anche i principi della Corte Europea dei Diritti dell´Uomo.
«Lo so, ma noi quello che dovevamo fare lo abbiamo fatto».
E quando avrete finalmente le ricevute?
«Ho già pronto il Fiat Doblò del mio ufficio per mandare tutte le carte a Roma. In genere utilizziamo le forze dell´ordine, ma data la delicatezza e particolarità del caso sarà il mio autista ad effettuare il trasporto».