PARE un romanzo dell´orrore, e invece è tutto vero. La sentenza con cui la seconda sezione della Corte d´Appello di Genova motiva la condanna dei 44 imputati per le violenze e i soprusi nella caserma di Bolzaneto, il carcere provvisorio del G8, si legge con emozione e ribrezzo. Sono 647 pagine che ripercorrono tre giorni e tre notti di tortura, ricostruendo le atrocità morali e fisiche commesse dagli uomini di legge attraverso le testimonianze delle loro vittime. E´ successo solo dieci anni fa, anche se qualcuno vorrebbe che ce lo togliessimo dalla testa. Soprattutto, è successo. Le botte, le umiliazioni, la negazione sistematica dei diritti, i "trattamenti inumani e degradanti". Sono tutti colpevoli: generali della polizia penitenziaria, guardie carcerarie, ufficiali dell´Arma e militari, agenti e funzionari di polizia, persino quattro medici. La maggior parte dei reati è prescritta, ma i responsabili pagheranno comunque risarcendo le vittime delle violenze. E con loro metteranno mano al portafogli anche i ministeri di appartenenza (Giustizia, Interno, Difesa), che dovrebbero sborsare una cifra superiore ai dieci milioni di euro. Avrebbero già dovuto farlo, ma sul G8 lo Stato continua a fare violenza: negando le proprie colpe e rifiutandosi di pagarle. Le vittime a questo punto cominceranno a pignorare i beni delle forze dell´ordine: e vedremo se finalmente si decideranno ad obbedire, tacendo per la vergogna. Il documento vergato dal consigliere Roberto Settembre, che insieme a Paolo Gallizia componeva la giuria presieduta da Maria Rosaria D´Angelo, racconta le cose come furono: ce ne sarebbe abbastanza per farlo diventare un testo di storia da inserire nei programmi scolastici.
«Una galleria degli orrori, che a leggerla tutta di un fiato fa davvero male», commenta Emanuele Tambuscio, avvocato di alcuni dei 252 no-global passati allora per la caserma di Bolzaneto. «Nell´introduzione i giudici si soffermano sul reato di tortura, che è entrato nel nostro ordinamento attraverso alcune Convenzioni internazionali. E spiegano come i fatti furono così conclamati e prolungati nel tempo che era impossibile non accorgersi di quanto stava accadendo». Non la pensa così un altro legale, Nicola Scodnik, difensore di un poliziotto (Massimo Pigozzi) condannato per aver letteralmente strappato la mano - divaricandone le dita - ad uno dei fermati, è una «sentenza suggestiva, approssimativa. Dimostra un affidamento incondizionato alla versione delle presunte vittime, senza fare alcuno sforzo per riequilibrare con la logica le tesi difensive». Non è così, sostiene la corte. «E questa sentenza è la cattiva coscienza di un paese intero», commenta l´avvocato Riccardo Passeggi. «Tre giorni di violenze inconcepibili in qualsiasi Stato di diritto, nei confronti dei quali si cerca di operare una sorta di rimozione collettiva. Però i fatti sono lì, e non se ne vanno: sono i diritti violati, le sevizie, sono quelle cose che gli italiani pensavano di essersi lasciati alle spalle più di mezzo secolo fa, e invece ritornano pericolosamente. Ma noi non dimentichiamo».