Tutto già risaputo, tutto già letto. Al punto da rovinare una regia studiata nei dettagli. Si parla di De Gennaro, il direttore del Dipartimento Informazioni Sicurezza, condannato perché indusse il Questore di Genova a mentire sui fatti della Diaz. Il copione immaginato dal governo prevedeva che il potentissimo De Gennaro presentasse una sorta di dimissioni. Formali, molto formali. A quel punto, il consiglio dei ministri le avrebbe respinte confermandogli la «fiducia». Assieme ad un bel po' di frasi retoriche. Il «canovaccio» è stato rispettato nel dettaglio, tanto che nel primo pomeriggio, la riunione a Palazzo Chigi s'è conclusa nel giro di mezz'ora: con l'annuncio che De Gennaro aveva intenzione di abbandonare l'incarico ma che quelle dimissioni erano state respinte.
Il problema, per il governo, è stato però che tutti gli sviluppi della vicenda - con una precisione millimetrica - erano già stati anticipati da un quotidiano, da «Repubblica». Da sempre attenta - e informatissima - su tutto ciò che gira attorno al discusso capo dei servizi segreti. Uno scoop - un mezzo scoop - che ha fatto saltare tutta la rappresentazione. Insomma, De Gennaro non ha mai pensato ad andarsene, nè al governo è mai passato in mente di rinunciare alle sue «prestazioni».
Dimissioni e loro rifiuto, insomma, sono state «solo un gioco della parti tra il gatto e la volpe», per dirla con Ferrero, segretario del Prc. Naturalmente, l'ex ministro spiega che «siamo e saremo sempre garantisti indistintamente nei confronti di chiunque». Altra cosa, ben altra cosa dovrebbe essere il riconoscimento delle responsabilità politiche e istituzionali. «E, nel caso del G8, sono da sempre alla luce del sole le gravi responsabilità di governo e tutori dell'ordine pubblico, che vanno al di là dell'eventuale accertamento di responsabilità penali».
Invece, De Gennaro non si farà da parte. Anche perché sembra poter contare su un consenso vastissimo, che va molto, molto al di là della maggioranza. Per capire: l'altro giorno - mentre già i ministri tuonavano contro la sentenza -, i democratici s'erano rifugiati nella prudente linea del silenzio. Ieri, invece, hanno deciso di parlare. Per schierarsi.
E tutti si sono ritrovati dalla parte di De Gennaro. Con dichiarazioni formalmente ineccepibili - sul rispetto del principio per cui nessuno può essere considerato colpevole prima del terzo grado - che però gli stessi dirigenti non hanno mai applicato a nessun'altra vicenda giudiziaria. E in questa elenco di personalità "democrat" scese in campo a sostegno del capo del Dis, spicca il nome di Casson, senatori del pd ma prima «magistrato scomodo» (così lo definivano). Casson esordisce spiegando che «fino alla sentenza definitiva non c'è obbligo giuridico» di dimissioni e poi si spertica nelle lodi di De Gennaro. «È un funzionario che ha sempre lavorato bene, con qualunque governo, di centrosinistra, di centrodestra». E ancora. In sua difesa arriva anche l'ex ministro degli Interni, Enzo Bianco. Che era al Viminale quattro mesi prima del G8 di Genova e da ministro affrontò la contestazione al vertice dei potenti che avvenne a marzo, a Napoli. Contestazione che affrontò con le stesse identiche tecniche che saranno poi adottate a Genova. Forte di questa esperienza ora Bianco si sente di dire che «De Gennaro è un servitore dello Stato competente e determinato».
Se non è un invito all'assoluzione, poco ci manca. E non è tutto. Fa sentire la sua voce anche l'ex capogruppo pd, Soro. Che «sente di dover rinnovare la stima ad un uomo che ha ottenuto straordinari risultati contro la criminalità».
Così, in questo clima di sostegno bipartisan, l'unica voce fuori dal coro, in Parlamento, è quella dei radicali. Anzi, di un radicale, Mario Staderini. Che timidamente si domanda: «Al di là del sacrosanto principio di non colpevolezza, non è pensabile aspettare le sentenze della Cassazione come se nulla fosse successo». Insomma: possibile che nessuno si preoccupi che «i principali posti di comando delle forze di sicurezza sono diretti da persone condannate in secondo grado per gravi reati»? Naturalmente nessuno si è degnato di rispondergli.