E come potevano non sapere quello che stava capitando alla Diaz, Gratteri, Luperi e gli altri pezzi da 90 della polizia, se quando misero piede nella scuola il pestaggio era ancora in corso ai piani superiori e le grida si sentivano dai palazzi intorno? E, ancora, come potevano ignorare da dove venivano e a cosa servivano le due molotov portate dentro il sacchetto blu? Con due frammenti video, oggi a Genova, le parti civili del processo Diaz proveranno a rafforzare l'impianto accusatorio accolto dal procuratore generale nella sua recentissima requisitoria: tutti colpevoli i 27 tra poliziotti e funzionari imputati per le violenze e gli abusi nel dormitorio del social forum, la "notte cilena" della Diaz. Non solo i picchiatori o i loro diretti superiori - già condannati in primo grado - ma anche gli alti papaveri che, a novembre di due anni fa l'hanno fatta franca, non ci furono, insomma, poliziotti infedeli e altri ingannati.
Il processo d'appello si avvia alle conclusioni con questa giornata dedicata ai legali di parte civile e a questa consulenza video divisa in due capitoli. Il primo mostra l'ingresso di Gratteri e Luperi, i più alti in grado quella notte, tre minuti e 25 secondi dopo l'irruzione degli uomini di Canterini. La difesa sostiene che Gratteri sarebbe arrivato 8 minuti dopo. Un cerchio rosso indica l'allora capo dello Sco, uno blu segnala la presenza nel filmato del vice dell'Ucigos. Quando una telecamera immortala i due davanti alla palestra, altri occhi - puntati dalla scuola di fronte - mostrano alcuni agenti attivissimi nei pestaggi al primo piano. Tra loro "Coda di cavallo" identificato solo alla fine del primo processo come uno degli agenti digos mescolati, per tre anni, al pubblico dell'aula bunker. Il frame smonta la prima sentenza che manda assolti i due funzionari accogliendo l'ipotesi che non potevano sapere che la «normale perquisizione» era tutt'altra cosa e che i feriti erano colpevoli di resistenza. Anche alcuni dei pestati hanno riconosciuto «quello con la barba» (Gratteri) e «quello con gli occhiali». Non erano poi così numerosi i personaggi in giacca e cravatta quella notte in via Battisti. 19 minuti dopo la mezzanotte, e dopo l'avvio del blitz, l'operatore Rai, il primo ad arrivare, filmò Mark Covell, il giornalista inglese massacrato davanti ai cancelli venti minuti prima e solo allora raggiunto da un'ambulanza. Gli imputati dissero di non ricordarsi di lui.
Il secondo capitolo riguarda le molotov, ossia la consapevolezza del falso, secondo le parti civili da parte di alcuni imputati. A mezzanotte 41 minuti e 33 secondi Luperi riceve una telefonata mentre, con in mano il sacchetto delle molotov, partecipa al conciliabolo di alti gradi di fronte alla porta della scuola. I tabulati sveleranno che dall'altra parte del filo c'era La Barbera e che parlarono per 31 secondi circa. Ora, in primo grado, l'imputato aveva sostenuto di essersi trovato solo, al termine della telefonata e di aver affidato a una donna della digos, estranea all'irruzione, il sacchetto. Lei, nella testimonianza, disse di averlo affidato a un collega napoletano di cui non sa il nome e che però non risulta nella lista dei presenti alla Diaz. Il frame, invece, dimostra, secondo la consulenza di parte civile, che alle 00.43 Luperi era con le mani libere e, pochi passi più in là, c'era ancora il conciliabolo in corso. Lui stesso, alcuni istanti appresso, parla con Mortola, capo della digos genovese, allora, oggi capo delle cariche ai No Tav in Val Susa. Una sagoma, che entra dall'ingresso laterale della scuola, potrebbe essere proprio la donna con le bottiglie. E, sette secondi prima dell'una meno un quarto i cerchietti rosso e blu sono sul bordo della palestra mentre si stende il telo delle false prove - mazze sequestrate ai muratori, coltellini da scout ecc... - 26 secondi dopo, alle spalle di Luperi e Gratteri, una mano sfila il sacchetto blu che sparisce per sempre. Quelle molotov venivano da un sequestro del pomeriggio in Corso Italia e un dirigente "previdente" evitò che ne fosse verbalizzato correttamente il prelievo. Non si sa mai.