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La procura di Genova: «Diaz, tutti colpevoli»
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione, 25 febbraio 2010
25 febbraio 2010

«Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi. La premeditazione, i volti coperti. La falsificazione del verbale di arresto dei 93 no-global. Le bugie circa la presunta resistenza dei no-global. La sistematica ed indiscriminata aggressione. L'attribuzione a tutti gli arrestati di due molotov che erano state portate nella scuola dagli stessi poliziotti». Prende atto delle prescrizioni intervenute ma anche di ciò che resta in piedi delle accuse: il falso ideologico, le lesioni personali gravi ed un caso di peculato. E non vuole siano concesse agli imputati le attenuanti generiche. Così, ieri mattina, il procuratore generale di Genova ha chiesto centodieci anni di carcere per i 27, tra agenti e funzionari, imputati per la macelleria messicana alla scuola Diaz. Quasi tutti si sono rifiutati di testimoniare in aula perché, secondo l'accusa, avrebbero messo nei guai i loro vertici. La sentenza verrà pronunciata ad aprile. Un quadro che fa scolorire le frasi pronunciate a Genova, due settimane orsono dal capo in testa della polizia: che la città fu aggredita dai manifestanti e sarebbero state le polizie a soccorrerla.
Il primo grado aveva registrato 13 condanne di celerini, per lo più (quattro anni per Canterini e due per il suo braccio destro, Fournier che confessò di aver visto episodi da "macelleria messicana, quattro anni anche per Pietro Troiani, il vice-questore che materialmente aveva portato le molotov dalla questura), e 16 assoluzioni di alti papaveri nel frattempo tutti convolati a nuovi e prestigiosi incarichi. Un ironico applaso, quella sera di novembre di due anni fa, accolse la stupefacente sentenza. Qualcuno scandì la parola «vergogna».
La pubblica accusa, stavolta, è tornata a chiedere 4 anni e 10 mesi per Francesco Gratteri, attuale capo dell'Antiterrorismo, e per Giovanni Luperi, oggi responsabile dell'Aisi (l'Agenzia informazioni e sicurezza interna), l'ex Sisde; quattro anni e 6 mesi per Gilberto Caldarozzi, che fu tra gli investigatori che catturarono Provenzano e che oggi dirige il Servizio centrale operativo; stessa richiesta di pena per Spartaco Mortola, nove anni fa capo della Digos genovese e ora a caccia di No Tav a Torino; quattro anni e dieci mesi per Vincenzo Canterini, che era il numero uno della Celere romana e del disciolto Nucleo Anti-Sommossa sperimentato nel G8 2001 e celebre per l'irruzione nella scuola che divenne dormitorio per i manifestanti sfollati dal nubifragio di qualche giorno prima.
Il 21 luglio 2001, poco prima della mezzanotte, i poliziotti circondarono la strada dove, una d fronte all'altra, stanno due scuole, l'una dormitorio, l'altra quartier generale del Genoa social forum. Gli agenti sfondarono entrambi i portoni alla ricerca di fantomatici black bloc, trovarono persone inermi a braccia alzate o cronisti, infermieri e legali dall'altra parte della strada. In cinque ragazzi finirono in prognosi riservata, decine gli altri feriti e furono 93 gli arresti illegali con prove fasulle.
Fuori dai cancelli, quella notte, il portavoce di De Gennaro sbarrava la strada a parlamentari e legali sostenendo la frottola che fosse una «normale perquisizione».
La requisitoria di ieri ribadisce che tutti erano partecipi e consapevoli. Per capire quanto sia difficile questo processo è utile tenere a mente le parole con cui esordirono i pm Zucca e Cardona Albini all'inizio della lunghissima requisitoria (poi raccolta in un libro "Scuola Diaz, vergogna di Stato" edito da Alegre pochi mesi fa): processare un poliziotto è come portare alla sbarra uno stupratore o un mafioso. Nel primo caso scatta la colpevolizzazione della vittima (si veda il monte di prigione affibbiata ai 25 manifestanti condannati per devastazione e saccheggio), nel secondo gli imputati sono circondati da un muro di omertà. «Che queste persone abbiano compiuto atti anche terribili o siano responsabili del fatto di averli lasciati compiere è ormai una verità storica. E' importante che sia la giustizia a ratificarlo. Questo certo e' molto importante - commenta a caldo Haidi Giuliani, la mamma di Carlo per il cui omicidio è stato negato un pubblico processo - non dimentico mai che alcuni dei manifestanti condannati in secondo grado anche a dieci, undici anni di reclusione, non hanno ammazzato nessuno. I quattro poliziotti, invece, che a Ferrara hanno ammazzato Federico Aldovrandi hanno avuto una condanna a dodici anni tutti e quattro insieme». «La sentenza di primo grado ha ricostruito esattamente i fatti - ricorda anche Vittorio Agnoletto, all'epoca portavoce del Gsf - ora ci aspettiamo che in secondo grado siano individuati dei colpevoli. Purtroppo sono restati fuori i vertici del Viminale sfuggiti a qualsiasi processo.