L'ultimo colpo di spugna sui processi-simbolo del G8 arriva grazie alla prescrizione, termine quantomai attuale in questi giorni di dibattito sulla riforma della giustizia. Perché i tempi lunghi hanno "graziato" Alessandro Perugini, l'ex vicecapo della Digos immortalato mentre sferra un calcio a un manifestante. Per quel fatto aveva ricevuto una condanna a due anni e tre mesi, da sommare a quella a due e quattro mesi inflitta da altri giudici per gli abusi sui no global nella caserma di Bolzaneto. Oggi dei (quasi) cinque anni complessivi, che teoricamente gli avrebbero precluso persino la libertà condizionale, resta in tutto un anno. I fatti di Bolzaneto sono completamente «prescritti», come ha confermato l'accusa stessa chiedendo il proscioglimento di 40 dei 45 imputati in primo grado. Ieri ecco la nuova sorpresa: dei vari addebiti per i quali Perugini fu punito nel procedimento sul calcio volante e l'arresto illegale di otto ragazzini in mezzo alla strada, è rimasto in piedi soltanto il falso. Risultato, i due anni e tre mesi si riducono e interviene la condizionale. In ballo c'era un fatto marginale e però altamente evocativo, l'episodio sintetizzato in un frame che ha fatto il giro del mondo, in cui proprio Perugini ferisce il sedicenne romano Marco Mattana che qualche secondo dopo è ripreso in primissimo piano con il volto tumefatto. Sembra un paradosso, ma le lesioni a Mattana furono già "stralciate" dalla vicenda: il giovane, risarcito secondo fonti ufficiose con circa 40 mila euro, aveva infatti ritirato la querela. È tuttavia rimasto solido il resto della sequenza, fissato nero su bianco da numerosi filmati: i ragazzi che si siedono in mezzo alla strada, via Carlo Barabino, la mattina del 20 luglio 2001, prima della guerriglia e della morte di Carlo Giuliani. Vogliono inscenare una protesta simbolica e sono a terra, immobili. È a quel punto che cinque agenti li sgomberano e ammanettano in modo «illegale», come stabilì in primo grado il tribunale. Due addirittura (un fotografo e il figlio di un avvocato), vengono prelevati dal bordo della strada e ammanettati.
Secondo tutti i magistrati che li hanno giudicati, i tutori dell'ordine mentirono nel sostenere che quel drappello li aggredì davanti alla questura prima che in città scoppiasse in finimondo. E mentirono quando sui verbali scrissero che lanciarono pietre o bottiglie, per giustificare la forza usata in seguito. Ma ormai è passato così tanto tempo, che le accuse di calunnia e arresto illegale non reggono più, e la condanna arriva (mitigata) esclusivamente per il falso. Oltre a Perugini sono stati condannati a un anno Antonio Del Giacco (due anni e tre mesi in primo grado) e a otto mesi i suoi colleghi Sebastiano Pinzone (due anni), Enzo Raschellà e Luca Mantovani (un anno e dieci mesi).
«Noi coinvolti da sette anni in questa vicenda - ha sempre ribadito Perugini - viviamo con la consapevolezza di quelle immagini, di quei filmati ossessivamente trasmessi come simbolo negativo delle forze dell'ordine». Nel frattempo si avvicina all'epilogo anche l'Appello per i soprusi nella caserma di Bolzaneto: in primo grado la Procura aveva chiesto 45 condanne, ottenendone 15. Stavolta ha proposto 40 proscioglimenti per prescrizione, ai quali hanno rinunciato in tre. E quindi, al massimo, potrà arrivare la conferma di otto condanne, a carico di sette agenti fra polizia di Stato e penitenziaria, e di un medico. Ancora la prescrizione ha salvato, fra gli altri, Giacomo Toccafondi, il dottore che prese un anno in prima battuta per il suo atteggiamento «omertoso» e «omissivo», e per non aver avviato accertamenti sull'impiego dei lacrimogeni in caserma. «Ormai - sussurrano in Procura - questo è solo un processo di principio».
Matteo Indice