Le vittime della caserma di Bolzaneto chiedono il pignoramento dei beni dei loro "torturatori", che nonostante la sentenza di condanna si rifiutano di risarcire i danni. A nove anni dai fatti di Genova e dopo le scuse ufficiali dello Stato, nessuno dei colpevoli ha ancora pagato. Non il ministero dell'Interno, non quello di Giustizia.
Nemmeno gli agenti, le guardie carcerarie, i medici personalmente responsabili dei soprusi e delle violenze nella prigione del G8. Penalmente, la prescrizione ha già cancellato i reati. Ma undici mesi fa il tribunale del capoluogo ligure aveva fissato in due milioni di euro la provvisionale da versare - subito - a circa duecento no-global.
Un anticipo sulla somma complessiva da definire civilmente. A gennaio l'Avvocatura dello Stato aveva appellato la decisione, chiedendo ai giudici la sospensione del risarcimento: la risposta non arriverà prima di questo autunno. Nel frattempo i condannati avrebbero comunque dovuto mettere mano al portafogli, o almeno contattare formalmente le vittime. Invece, nulla. Due volte umiliati da questo silenzio, i duecento e passa di Bolzaneto hanno avviato attraverso i loro avvocati le esecuzioni civili. Chiedono il pignoramento dei beni dei ministeri fino al raggiungimento del valore dovuto: scrivanie, computer, persino "volanti" o furgoni per il trasporto dei detenuti, compresi eventuali depositi bancari presso la Tesoreria. Renato Delucchi, presidente della terza sezione, riconoscendo l'esistenza di un "campo" aveva ammesso la sconfitta della giustizia italiana. Ma nel luglio passato il tribunale era stato costretto ad applicare le leggi italiane a disposizione - che non disciplinano il reato di tortura e aveva escluso il dolo e l'aggravante dei "futili motivi": condanne per 23 anni e 9 mesi, più il risarcimento. Meno di un terzo di quanto chiesto dalla pubblica accusa.
Lo Stato italiano aveva preso le distanze da poliziotti e agenti di custodia: sostenendo che in quei giorni del G8 era cessato il "nesso organico" tra le forze dell'ordine e il ministero di appartenenza, Viminale e Ministero di Giustizia si erano rifiutati di essere considerati responsabili in solido, proprio perché i loro uomini non si erano comportati come "servitori dello Stato".
Una tesi però rifiutata dalla corte, che aveva presentato il conto anche ai ministeri. All'inizio di quest'anno, tutti i protagonisti del dibattimento hanno fatto appello alla sentenza. Soprattutto i pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, che nella loro richiesta hanno sottolineato la matrice "politica" della barbarie di Bolzaneto, denunciando che le "azioni illegali" delle forze dell'ordine erano "dirette al disprezzo, all'umiliazione e alla vessazione di queste persone proprio per la loro appartenenza ideologica". La data del nuovo processo, affidato alla seconda sezione della corte d'appello, non è ancora stata fissata. Con ogni probabilità se ne parlerà in autunno.