«Non è stata fatta giustizia». Non è una frase scritta sui muri o su un volantino ribelle. Sono le parole con cui i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini chiudono il ricorso in Appello con cui chiedono di fare un nuovo processo ai 29 poliziotti che la sera del 21 luglio 2001 fecero irruzione nella scuola Diaz massacrando di botte 93 manifestanti sorpresi in pieno sonno. «Il sangue versato e la sospensione del diritto in quella notte richiedono più adeguata ricerca sugli autori e sulle cause» scrivono i magistrati. Su 29 imputati, sedici sono stati assolti a novembre scorso dopo tre anni di processo e otto di indagini. Erano all'epoca dei fatti, e sono tutt'oggi, i massimi vertici della polizia. Chiudere gli occhi, accettare quella sentenza, accusano i pm, «avrebbe conseguenze assolutamente nocive sul piano istituzionale». Quelle assoluzioni, in buona sostanza, creano un «precedente giuridico gravissimo»: quello per cui la polizia può sospendere il diritto, confondere le acque e far sparire le prove, fabbricarne addirittura di false, falsificare gli atti e farla franca. Un precedente che sarebbe grave si consolidasse proprio alla vigilia di un nuovo G8 italiano e mentre tornano le minacce e a Londra un manifestante del G20 muore in strada.
Zucca e Cardona Albini impiegano 109 pagine per smontare le motivazioni della sentenza pronunciata dal presidente del tribunale Gabrio Barone che invece ha spiegato l'assoluzione con l'assenza di prove («esistono solo indizi e non univoci»).
I pm accusano il tribunale di aver evitato «la responsabilità di motivare» l'assoluzione di 16 dei 29 imputati, un lavoro «solo compilativo» in cui «non ha valutato a dovere i mezzi istruttori» e «le dichiarazioni testimoniali». Per l'accusa la notte della Diaz non può essere solo colpa di qualcuno a cui è scappata la mano; quella notte, dopo la morte di Giuliani e due giorni di delirio, finito il vertice, fu deciso un cambio di strategia. Lo ha spiegato al processo il prefetto Ansoino Andreassi, fino alla mattina del 21 luglio 2001 responsabile della sicurezza del G8: «Ci fu una decisa virata nella politica della gestione dell'ordine pubblico proveniente dal vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza mirante all'accentuazione dell'aspetto repressivo (...) tanto che nel pomeriggio del 21 viene inviato a Genova il prefetto La Barbera, capo dell'antiterrorismo». Una deposizione «decisiva - si legge - per la ricostruzione della catena di comando» e invece valutata «in modo asettico» dal tribunale. Tribunale che «scarta apoditticamente l'idea che l'agente Nucera abbia potuto togliersi il giubbotto per colpirlo col coltello».
E' una delle tante prove false fabbricate per motivare la reazione degli agenti. «Nucera - si legge nell'appello - (che in un primo tempo aveva detto di essere stato aggredito da un no global è più credibile quando aggiusta a posteriore la sua versione, dopo aver saputo che la consulenza del Ris lo sbugiarda». Durissimo il capitolo dedicato alle due bottiglie molotov, reperto chiave la cui presenza nella scuola Diaz aveva motivato l'irruzione e che poi invece risultano essere state portate a posteriori da Troiani e Burgio, tra i sedici condannati con gli uomini del Reparto mobile guidato da Canterini. Troiani e Burgio hanno agito da soli? Impossibile, dicono i pm, «ricostruendo la gestione del reperto si prova il pieno coinvolgimento e la consapevolezza di tutti gli imputati ciascuno con il proprio ruolo corrispondente alla gerarchia e funzione».
Si tratta di Gratteri, attuale n°2 della polizia, Gianni Luperi, n°3 dell'Aisi, e poi Calderozzi, Ferri, Di Bernardini, Dominici e altri, assolti in I grado perchè il fatto non sussiste. Quelle molotov poi sono scomparse dall'ufficio reperti «per opera del personale Digos che si sarebbe portato via il corpo del reato». Una vicenda su cui il Tribunale non ha mai voluto scavare fino in fondo tanto che i pm contestano «l'omessa pronuncia».
«Questo drammatico panorama di violazioni diffuse - si legge nell'appello - si è riprodotto davanti a un Tribunale che non ha ritenuto di stigmatizzare questi comportamenti». Non solo, un Tribunale che «neppure è intervenuto sui numerosi testimoni reticenti e imprigionati da codici omertosi». Anche la Procura generale, eccezionalmente, ha presentato appello. C'è tempo fino al 2014 per arrivare ad una nuova sentenza.