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«Diaz, notte violenta ma i capi non videro»
Alessandra Fava
Fonte: Il Manifesto, 11 febbraio 2009
11 febbraio 2009

Le bottiglie molotov trovate in corso Italia e portate alla Diaz, la prova chiave del processo, sono sparite per magia. Si sa chi le ha portate e infatti sono stati condannati Burgio e Troiani vista «l'evidente unicità del disegno criminoso». Ma non c'era «complotto» e tantomeno prova della volontà di depistare perché i vertici presenti davanti alla scuola la notte del 21 luglio 2001 non ne sapevano niente. Voilà. È uno dei punti chiave delle motivazioni della sentenza, depositate ieri, che lo scorso 13 novembre ha condannato i primi che sarebbero entrati nella scuola (il capo del VII nucleo sperimentale Vincenzo Canterini e tre suoi uomini), i traslatori di bottiglie e quelli entrati alla Pascoli per un totale di 13 condanne per 35 anni e 7 mesi, ma non i vertici della polizia di ieri e di oggi, Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi e Francesco Gratteri. Dentro (per modo di dire, le condanne sono quasi tutte sospese e galoppano verso la prescrizione) i responsabili di lesioni «disumane» e «inaccettabili in uno stato di diritto», fuori quelli che redassero i verbali falsi e accusarono coloro che dormivano nella scuola. Scrissero bugie senza saperlo.
Nelle quasi 400 pagine di motivazioni depositate ieri solo in cartaceo, il Tribunale spiega che le bottiglie trovate in corso Italia furono effettivamente portate alla scuola. Ma «la ricostruzione del percorso compiuto dalle bottiglie molotov e di quanto compiuto da coloro che vennero in contatto con le stesse risulta assai difficoltoso e non accertabile con la dovuta sicurezza», scrive il tribunale. Quindi «non è chiaro come tali bottiglie siano giunte e siano state infine disposte sullo striscione». Certo «può sorgere il sospetto circa il coinvolgimento nella creazione della falsa prova, ma si tratta di semplici indizi non univoci».
Anche nel filmato di Primocanale detto Blue Sky, il tribunale ammette che in effetti ci sono «alcuni imputati riuniti a parlare con Luperi, mentre quest'ultimo tiene in mano il sacchetto con le bottiglie molotov», ma «non può sicuramente valere a provare con la dovuta certezza che in tale momento si stesse concordando di affermarne il falso ritrovamento all'interno della scuola, pur conoscendone la provenienza da altro luogo». La prova sarebbe che Gratteri non partecipa al colloquio e non si può «univocamente dedursi che Luperi fosse al corrente della sua artificiosità». Insomma niente complotto prima nè durante perché sarebbe stato difficile nasconderlo agli altri.
Il tribunale smonta il processo partendo dalla negazione che il pestaggio sia stata una spedizione punitiva organizzata dai vertici della polizia. Certo, ci sono state le violenze, perché come disse Andreassi si doveva «passare ad una linea più incisiva, con arresti, per cancellare l'immagine di una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e devastazione». Ma nessun ordine: «Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni - si legge - è certo che la loro propagazione così diffusa e pressoché contemporanea presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori che comunque non li avrebbero denunciati».
Per il resto le motivazioni spiegano, arrampicandosi sugli specchi, che anche l'accusa di resistenza contro i manifestanti che uscivano in barella dalla scuola era plausibile visto il contesto di quelle giornate. Per cui più che falso fu «leggerezza» e «disattenzione». Infine, a sostegno della Procura, il tribunale ricorda che in effetti la polizia fornì foto vecchie e non collaborò con «la massima efficienza». Che uno dei picchiatori con la "coda di cavallo" fu identificato sette anni dopo i fatti e che ci fu la «sensazione di una certa volontà di nascondere fatti e responsabilità di maggiore importanza, che ha caratterizzato negativamente tutto il procedimento».
Passando alle singole posizioni, come prevedibile, è tutto un «non è provato che si accorse di». Non è provato che Luperi vide Covell massacrato a terra, né che abbia capito che cosa era accaduto nella scuola, né che «fosse consapevole della provenienza di dette bottiglie e del fatto che non fossero state rinvenute all'interno della scuola». Non è provato che Gratteri si sia reso conto di quanto avvenuto nella scuola, mentre Canterini lui sì era «al corrente di quanto era avvenuto in realtà nella scuola, cosicché redigendo la sua relazione in modo tale da indurre il lettore a convincersi che coloro che si trovavano nell'edificio avessero posto in essere atti di resistenza violenta in modo diffuso e generalizzato, avvalorava la tesi circa la loro responsabilità concorrente in ordine sia al reato di resistenza sia a quello associativo, nonostante fosse del tutto consapevole che ciò non corrispondeva al vero».