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Per i responsabili della mattanza una copertura bipartisan
Salvatore Palidda
Fonte: Il Manifesto, 16 novembre 2008
16 novembre 2008

La sentenza dell'ultimo dei quattro principali processi per i fatti del G8 di Genova conferma l'obiettivo che l'amministrazione Bush e il governo italiano si erano prefissato: massacrare l'opposizione alle scelte liberiste. Sin dall'inizio il silenzio dei vertici dell'amministrazione della giustizia aveva mostrato la loro subalternità a tale scelta: nessuna obiezione a ciò che Amnesty International ha definito «la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale»; nessun dissenso per la chiusura del Tribunale e la contestuale creazione di un ufficio giudiziario di emergenza dentro il carcere Marassi nel frattempo svuotato; nessuna opposizione alla trasformazione della caserma di polizia di Bolzaneto in carcere speciale per i manifestanti. Dopo le tragiche due giornate del 20 e del 21 luglio 2001, il vertice del tribunale di Genova si rivelò estremamente timido anche nell'assunzione delle sue stesse competenze, tant'è che istruì quattro processi con l'intento palese di equilibrare le indagini sulle forze di polizia con quelle sui manifestanti.
L'illusione di ottenere giustizia e l'ignoranza dell'effettivo svilimento dello stato di diritto democratico hanno condotto molti a credere che i giudici avrebbero colpito sia i manifestanti, sia gli agenti delle polizie che avevano «esagerato». E invece il massacro è stato portato a compimento con grande coerenza: innanzi tutto la vergognosa assoluzione nel processo per l'assassinio di Carlo Giuliani; quindi i 115 anni di carcere comminati ai 25 manifestanti giudicati come black bloc responsabili di tutti i danneggiamenti in città (compresi quelli che i filmati mostrano essere stati provocati dalle polizie). Ma al peggio non c'è mai fine e così nel luglio scorso si è arrivati alla sentenza per le torture e le violenze subite dai manifestanti nel carcere speciale di Bolzaneto e l'altro ieri a quella per la mattanza conclusiva che i vertici della polizia organizzarono nella scuola Diaz: condanne ridicole e in prescrizione che assolvono la maggioranza degli imputati e dei vertici delle forze di polizia malgrado l'abbondanza di prove, immagini e testimonianze nonché le ammissioni di alcuni imputati. Insomma, avevano proprio ragione quei dirigenti e agenti delle polizie a pensare che potevano contare sulla piena copertura di qualsiasi comportamento, una protezione quasi superiore a quella di cui hanno beneficiato i torturatori di Abu Ghraib, il Lozano che ha ammazzato Calipari o i poliziotti che hanno sparato su Jean Charles de Menezes nel metrò di Londra nel 2005. Una copertura completa garantita da Amato e Violante sino a Fini, passando per Casini e Maroni. D'altro canto, la reazione dei democratici sembra essere stata ben poco efficace. A nulla è valsa la profonda indignazione espressa da media, intellettuali, artisti e da diverse personalità. La parentesi inconsistente del governo Prodi e la penosa uscita di scena della sinistra che vi era imbrigliata hanno contribuito non poco a far sì che fra le prime sette potenze mondiali l'Italia si confermi come l'unico paese in cui è assicurata l'impunità dei reati commessi da operatori delle polizie, che per giunta sono anche promossi a più alti incarichi. Resta da chiedersi se un'adeguata mobilitazione dei democratici fra i giuristi, i magistrati e gli operatori delle polizie avrebbe potuto giocare un ruolo più determinante e contribuire a una sentenza più decorosa e credibile. E, ancora, ci si domanda se è possibile concepire e organizzare una resistenza efficace contro la distruzione dello stato di diritto democratico che sembra essere uno dei principali intenti dell'attuale governo liberista e neo-conservatore.