Il pubblico in aula si alza in piedi e urla «vergogna, vergogna». I pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini non riescono a dire nulla ma lasciano la stanza con le lacrime agli occhi. E Dolores Ferrero, che oggi ha settant'anni, a cui la polizia ha spezzato un braccio, sfinita, dice solo: «Cobardes», «codardi». Finisce così il processo ai dirigenti di polizia e agli agenti che la notte del 21 luglio 2001 assalirono il dormitorio del Social Forum ospitato nella scuola Diaz e presero a bastonate i 93 manifestanti che dormivano all'interno: assolti tutti i dirigenti di polizia che firmarono il verbale fasullo che giustificava la perquisizione, compresi i due superpoliziotti Francesco Gratteri e Giovanni Luperi che non misero il loro nome su quel documento ma erano all'interno della scuola e a lungo discussero di due bottiglie molotov che avevano fra le mani, poi magicamente finite all'interno dell'edificio e attribuite ai no global. Condannati, ma con pene ridicole e tutte condonate se non in un paio di casi, i funzionari del settimo nucleo antisommossa che parteciparono alla mattanza. Solo Vincenzo Canterini rischia un anno di carcere, visto che gli altri tre a cui è stato condannato gli sono già stati condonati, come cancellati dalla stessa sentenza sono i tre anni di detenzione per tutti gli altri funzionari della celere. Tre e due anni a Pietro Troiani e Michele Burgio, che portarono le bottiglie incendiarie di fronte alla Diaz.
Il collegio presieduto da Gabrio Barone aveva promesso una decisione entro il primo pomeriggio. E' uscito dalla camera di consiglio solo alle 21 e 30, trovandosi di fronte un'aula stracolma. Di politici ce ne sono pochissimi, solo la ex parlamentare di rifondazione Graziella Mascia, che per anni ha insistito nel chiedere una commissione d'inchiesta parlamentare sul G8. L'europarlamentare Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Genoa social forum. Ma nessun deputato o senatore attualmente in carica. C'è però la sindaca Marta Vincenzi che intanto dice subito di considerare «una scelta sbagliata» quella che fece il suo precedessore Giuseppe Pericu, quando scelse di non costituirsi parte civile contro i poliziotti che devastarono due scuole di proprietà del comune. Dopo anni passati ad ascoltare i due pm Cardona Albini e Zucca e a pensarli isolati nella loro procura, gli unici tanto pazzi da fare un processo contro i vertici della polizia, è impossibile non far caso alle facce di altri pm genovesi che si presentano in aula al loro fianco. Oltre ai due autori dell'inchiesta sulle torture di Bolzaneto, Miniati e Petruzziello, ci sono i due procuratori aggiunti, Calia e Morisiani e tutto il «vecchio» pool dei reati contro la pubblica amministrazione, anche se manca, come sempre, il procuratore capo Francesco Lalla. Le telecamere delle televisioni nazionali ci sono quasi tutte. E invece di giornalisti esteri non ce n'è nessuno. Solo John Hooper, l'inviato del Guardian che un mese fa ha dedicato uno speciale alla notte della Diaz e ora scuote la testa : «Francamente mi sorprende la mancanza di interesse da parte della stampa estera. Molti stranieri sono stati feriti gravemente alla Diaz».
Gli unici a mantenere la calma sembrano i due pm autori dell'indagine, Zucca e Cardona Albini, alle otto di sera continuano a ripetere a tutti: «Una sentenza complicata, con 29 imputati, decine di capi di imputazione, i magistrati devono decidere su tutto quello che è stato depositato. E' normale che ci mettano così tanto». Di fondo c'è forse l'impressione che davanti a una sentenza tanto difficile e davanti ad imputati tanto controversi il collegio abbia deciso di pensarci fino all'ultimo. E invece la sentenza ha deciso di azzerare le responsabilità dei vertici della polizia Francesco Gratteri, attuale capo del dipartimento anticrimine, Giovanni Luperi, attuale dirigente di dipartimento dell'Aisi, Gilberto Calderozzi oggi a capo dello Sco che indaga sulla criminalità organizzata. Per il tribunale di Genova è come se davanti a quella scuola non ci fossero mai stati. E come del resto fortemente ridimensionato dalla sentenza è il ruolo di Pietro Troiani, l'unico per cui i pm avevano chiesto cinque anni, accusato di porto di armi improprie perché fu il primo a portare all'interno della Diaz le bottiglie molotov trovate durante le manifestazioni pomeridiane e poi finite tra le mani dei dirigenti di polizia presenti di fronte alla scuola e poi all'interno del presunto fortino della Diaz.
Non sono bastate le tante testimonianze di persone gravemente ferite quella notte, o l'imbarazzo davanti ai loro racconti, sebbene l'avvocatura di stato abbia provato fino all'ultimo a sostenere che anche loro, insieme a tutti gli altri imputati, erano innocenti. Più in generale questa sentenza decide di non affrontare le ragioni che quella notte convinsero la polizia a fare una perquisizione sommaria in un dormitorio, a caccia di manifestanti violenti. E dire che il prefetto Ansoino Andreassi all'ora vice capo della polizia, aveva spiegato con chiarezza che nel pomeriggio del sabato, a vertice del G8 ormai concluso, la polizia di stato decise a freddo un cambiamento di strategia: «Io l'ho percepita come tale - ha detto in aula un anno e mezzo fa - cioè ho ritenuto che si volesse passare ad una linea più incisiva di quella, fino a quel momento seguita. E questo mio convincimento lo trassi, in primo luogo, dall'affidamento da parte della polizia a Gratteri dell'intervento alla scuola Paul Klee e successivamente con l'invio di La Barbera a Genova. L'invio di La Barbera non è qualcosa che appiano l'esigenza di gestione dell'ordine pubblico. C'era la necessità di reagire e di fare arresti».
Da quel cambio di strategia del pomeriggio di sabato nacque l'idea di inviare pattuglioni misti tra mobile e funzionari a perlustrare la città a caccia di arresti. E di lì, ancora, il caso che ne fece finire uno davanti alla scuola Diaz e fece poi raccontare ai poliziotti di essere state vittime di un'aggressione.
E' da quell'episodio casuale che nacque l'idea di perquisire la scuola Diaz a caccia del covo dei black bloc e di spedire all'interno della scuola un intero reparto di polizia mobile. Ed è su questo più ancora che sulle violenze che il collegio presieduto da Gabrio Barone avrebbe dovuto decidere di dire qualcosa. Non l'ha fatto.