Condannati Canterini, il suo vice e i suoi capisquadra. Condannati anche il funzionario che portò le molotov alla Diaz e il suo autista. Assolti tutti gli altri. Assolta la catena di comando che agì nella notte cilena alla scuola Diaz dopo una lunghissima attesa il presidente del tribunale Gabrio Barone entra nell'aula bunker alle 21 e in diciassette minuti gela le speranze di verità e giustizia della folla di vittime e cronisti che lo aspettava da quattro ore. Una sfilza di «il fatto non sussiste », «il fatto non costituisce reato», «per non aver commesso il fatto» sarà pronunciata accanto ai nomi più famosi di questo processo che arriva a conclusione più di sette anni da quel 21 luglio 2001. Già dalla lettura del dispositivo i più esperti di cose giudiziarie si sono resi conto che «lo Stato non giudica se stesso». Che è «una presa in giro». Frasi rubate durante l'interminabile elenco di vittime da risarcire. E sono proprio loro le ragazze e i ragazzi che il mondo ha visto uscire sanguinanti dalla Diaz a rompere il silenzio dopo la lettura della sentenza. Lo fanno gridando scandendo la parola «Vergogna!». La scandiscono senza tensione, con una rabbia amara la stessa amarezza dei due pm, Enrico Zucca e Francesco Cardoni Albini, che abbozzano un sorriso cui è difficile credere. Escono senza commentare ma già nei corridoi era circolata la voce di un pessimismo profondo della pubblica accusa. Il legale di un poliziotto non perde l'occasione per dare del «pezzo di merda» a un cronista di Repubblica, uno dei più onesti e lucidi, uno di quelli che, dalla mole di documenti, aveva creduto che non era possibile distinguere tra poliziotti cattivi, i celerini che entrarono per primi e menarono di più, e i poliziotti buoni tra i quali nomi di spicco dell'apparato nazionale di sicurezza. «E' un massacro della democrazia - commenta Salvatore Pallida, sociologo, esperto di cose di polizia e vicino ai movimenti - è il massacro di qualsiasi spazio di agire pubblico».
La lunga attesa è durata più di dieci ore prima con l'appello infinito dei legali. «Speriamo che sia l'ultima volta », ha detto Gabrio Barone. Le ultime arringhe e due difensori e poi il ritiro in camera di consiglio del presidente e delle due giudici a latere, una si chiama Annalella Dellopreite e Fulvia Maggio. Non lontano dal palazzo di giustizia sagome di celerini col tonfa impugnato alla rovescia, unico segno di attività della società civile in una città che sembra distratta da altro.
La sentenza potrebbe arrivare da un momento all'altro già dalle 17. Gira la voce che il presidente, acceso genoano, non volesse perdersi il match con la Juve. Ma una strana euforia sembra circolare tra i difensori dei 29 poliziotti: non sarebbe dimostrabile la responsabilità dei loro assistiti. Insomma, i picchiatori non hanno nome, salvo un paio di eccezioni. Però i loro capi non sono intervenuti per bloccare l'elenco di reati commessi nella "normale perquisizione" (così la definì il portavoce di De Gennaro) nel dormitorio dei no global. Gli imputati non ammetteranno nemmeno di aver visto qualcosa, se non Fournier, vice di Canterini, che coniò la definizione di «macelleria messicana». Lo avrebbe fatto soprattutto per cercare di alleggerire la posizione del suo reparto, i Canterini boys. L'attesa si prolunga, ogni ora l'appuntamento nell'aula bunker viene fatto slittare.
«Siamo qui per chiedere che la verità giudiziaria coincida con una verità storica ormai condivisa - spiegava l'eurodeputato Prc Vittorio Agnoletto, all'epoca portavoce del Genova Social Forum - la sentenza deve restituire giustizia alle vittime ed essere un monito per il futuro». Ma se si smontasse l'apparato accusatorio? Sarebbe come una «tana libera tutti», continua l'eurodeputato, «la Costituzione sarebbe carta senza valore». A quell'ora l'assoluzione della catena di comando sembrava ancora fantascienza.
«Il blitz fu un'operazione preordinata - ripeteva Francesco Romeo, uno dei legali di parte civile - volevano fare più arresti possibili». Tant'è che il prefetto Andreazzi, che non parlerà mai pubblicamente se non di fronte alla commissione conoscitiva a ridosso dei fatti, fu "destituito" sul campo per via di un brusco cambio di strategia: i pattuglioni e la costruzione di prove false. Gli arresti di quella notte furono tutti illeggittimi, nemmeno un black block dormiva alla Diaz. I legali delle vittime hanno arricchito con molto materiale l'impianto accusatorio ma non è servito a niente.
Scuote la testa la sindaca Marta Vincenzi. Il comune non è parte civile ma lei è voluta venire ugualmente su invito del consigliere Prc Arcadio Macini. L'assessore Pastorino, il segretario cittadino, Scarabelli, l'ex deputata Graziella Mascia, diversi militanti: Rifondazione c'era tutta, unica forza politica se si esclude il consigliere Pdci Delpino e l'ex sindaco Sanza.
L'Arci ha diffuso un comunicato di sostegno alla pubblica accusa. La sindaca era venuta «per tornare a sperare». Ma il prolungarsi dell'attesa cancella il residuo ottimismo. E' come se il massacro della Diaz non si fosse mai fermato da quella notte. Sui gradini del tribunale il Genova Legal Forum abbozza una prima conferenza stampa. Ma da domani dovrà iniziare una riflessione molto più profonda che coinvolga tutti quelli che erano scesi in piazza contro gli Otto grandi.