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Sentenza Diaz: un commento e un particolare
Francesco "baro" Barilli
14 novembre 2008

Ho sentito accomunare la sentenza sulla scuola Diaz a quella su Bolzaneto, con giudizi analogamente severi. In realtà mi sembra miope accomunare i due esiti in una valutazione negativa di uguale livello. La sentenza su Bolzaneto, pur con molte ombre, riconosceva in sostanza la gravità dei fatti, condannando la figura apicale (Antonio Biagio Gugliotta, l'ispettore di polizia penitenziaria al vertice della caserma) con motivazioni nette. Indipendentemente da considerazioni sulle assoluzioni emerse anche in quel contesto o sulla lieve entità delle pene comminate, si scelse almeno di prescindere dalla logica delle "poche mele marce". Nel giudicare la notte alla scuola Diaz il tribunale di Genova si è comportato in modo molto peggiore: che il verdetto abbia tracciato una così netta linea di demarcazione fra vertici decisionali e "manovalanza" è davvero sconcertante e avvilente.
Il verdetto Diaz è funzionale alla strategia messa in campo in questi anni dalle forze dell'ordine e da quei politici autonominatisi loro difensori "a prescindere". Per la vicenda delle due molotov, falsamente prodotte come prove, sono condannati l'autista e il primo a farsene carico (Burgio e Troiani). Già l'anello successivo, il vice questore Bernardini, è assolto: pur potendolo considerare una figura non elevata, nella catena degli eventi costituiva un tramite troppo pericoloso verso livelli più alti. In altre parole, dovendo tranciare la linea decisionale che porta le due molotov, di mano in mano, all'interno dell'edificio, si è scelto di usare la forbice nel punto più basso possibile. Spingerla di poco più su avrebbe prodotto una catena di conseguenze difficile da arginare. Sostanzialmente, nell'affrontare la vicenda della costruzione delle prove false a carico dei presenti alla Diaz, i vertici delle forze dell'ordine si sono trovati di fronte a due alternative: riconoscersi complici di un gesto ignobile e illegale oppure passare per incompetenti. Hanno scelto la seconda opzione, e a questo punto il triste balletto delle due bottiglie, da Troiani in poi, diventa farsesco, potendolo definire criminale (stando alla sentenza) solo al livello più basso.
Passando all'altro nucleo di condannati (ossia il gruppo del reparto mobile di Canterini e del suo vice dell'epoca, Fournier, e relativi sottoposti) già molti hanno notato che la loro condanna equivale ad addebitare le violenze solo alla "mano pesante" degli agenti. Giusto e condivisibile, ma vorrei sottolineare un'altra particolarità. Fournier e Canterini sono due dei pochi imputati (anzi, se non ricordo male gli unici) a non essersi sottratti al processo, scegliendo di non avvalersi della facoltà di non rispondere e affrontando il confronto in aula. Canterini fu pure l'unico (vedi Ansa 11 febbraio 2003) a schierarsi a favore di una commissione d'inchiesta parlamentare. Fournier divenne famoso per aver riconosciuto la violenza dell'irruzione, coniando l'ormai famosa definizione di "macelleria messicana", ed è anche uno dei pochi fra i protagonisti della Diaz a non essere stato promosso ma, al contrario, retrocesso a mansioni più umili (stando ad una notizia riportata dall'Espresso lo scorso ottobre).
Sia chiaro: non è necessario credere che questi distinguo siano ascrivibili a nobili intenti. Forse potrebbero essere stati solo il tentativo di approcciarsi diversamente al processo, nell'intento di allargare il cerchio delle responsabilità, stemperando così quelle personali (in questo senso Canterini fu molto chiaro in un'intervista concessa a Repubblica il 15 giugno 2007). Che l'atteggiamento di Canterini e Fournier, diverso da quello degli altri imputati, sia dovuto a motivazioni etiche o pratiche poco conta (in ogni caso si tratta di scelte legittime). Ma è inquietante notare come l'essersi discostati dalla linea di totale silenzio e totale omertà scelta dagli altri imputati (e avallata ad altissimi livelli) abbia avuto riflessi negativi per i diretti interessati. Il sospetto di una sentenza scritta da tempo, e in altro luogo rispetto al tribunale di Genova, a questo punto diventa davvero forte.

Francesco "baro" Barilli