«Quella notte i poliziotti si presentarono al pronto soccorso poco dopo i ricoveri. Volevano portare via tutti i feriti della Diaz, senza preoccuparsi delle loro condizioni. Cercarono di usare le maniere forti, ma ci rifiutammo di consegnare loro i più gravi». Medici ed infermieri dell´ospedale di genovese di San Martino ricordano la sera dell´assalto alla Diaz. E il comportamento delle forze dell´ordine. Tra di loro Giorgio Giordano, il dottore che soccorse l´inglese Mark Covell. «Era gravissimo, in stato di semi-incoscienza. Arrivarono gli agenti in divisa, dissero che era in stato di arresto. Volevano andarsene con lui. Una follia. Ci opponemmo a quello che sembrava quasi essere un sequestro di persona. Formammo una sorta di cordone umano, tra medici ed infermieri, e riuscimmo a resistere». Covell sarebbe rimasto ricoverato per altre due settimane. Volevano portarsi via anche Dolores Villlamor Herrero, una signora spagnola di settant´anni. L´ospite più anziano della scuola. Che alzò le mani per ripararsi dalle manganellate, ma un colpo dei famigerati "tonfa" le spezzò l´avambraccio destro. Dolores, minuta, i capelli bianchi, ricorda con orrore quegli istanti. «Avevo il terrore che mi portassero via. E continuai a convivere con la paura per tutti i giorni del ricovero». La maggior parte dei 61 feriti fu però costretta a lasciare il San Martino in piena notte. Li accompagnarono tutti nel "centro di detenzione temporanea" di Bolzaneto, la caserma del Reparto Mobile. La prigione del G8. Ad attenderli, per il cosiddetto "triage", c´era Giacomo Toccafondi, il medico poi condannato ad un anno e due mesi di reclusione. Quello che avevano ribattezzato "il dottor Mengele".