GENOVA - E´ la memoria la vera condanna per i responsabili dei fatti di Bolzaneto. «Dunque in quei giorni si sono verificati comportamenti nei rapporti tra le Forze dell´Ordine e i cittadini italiani e stranieri, che, se anche dovessero incontrare la prescrizione, tuttavia difficilmente potranno essere dimenticati». Comincia così la parte conclusiva della requisitoria finale dei pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati. Nessuno andrà in carcere, le pene verranno cancellate, le richieste di risarcimento si trascineranno per anni. Ma nella monumentale quantità di materiale del processo, i verbali di interrogatorio e le centinaia di testimonianze serviranno a tramandare la storia del carcere speciale. Una prigione che ancor prima che luogo di violenze, abusi e umiliazioni è un luogo di confusione. «Il numero complessivo sicuramente accertato delle persone private della libertà transitate nella struttura di Bolzaneto giunge quindi a 252 persone - scrivono i pm -. Tuttavia deve essere ribadito che la mancata tenuta di un registro d´ingresso nella struttura e l´accertata assenza di un elenco ufficiale dei fermati per identificazione rendono questo dato non sicuro potendo il numero anche essere superiore». Frasi che la dicono lunga sulle capacità organizzative di varie amministrazioni: quella penitenziaria che manda sul campo i propri vertici e i nuclei d´elite; quella delle forze dell´ordine che si dividono la gestione delle varie fasi di registrazione degli arrestati, e quella della magistratura che alla vigilia, consentendo il differimento di 24 ore del colloquio con i legali, non si rende conto di partecipare alla realizzazione di una "mostruosità" giuridica, un buco nero del diritto, dove agli arrestati viene impedito di contattare un avvocato ben oltre i termini previsti, così come di telefonare alla propria ambasciata o ai famigliari, dove i fermati non si rendono neppure conto di quello che stanno firmando. E così capita che nella ricostruzione delle parti civili almeno quattro siano i detenuti fantasma. Giovani manifestanti che non compaiono nel registro dei fermati. Ma le tracce del loro passaggio a Bolzaneto sono state scoperte dagli inquirenti spulciando brogliacci ed elenchi della scientifica o di altri uffici.
Un caos organizzativo in cui gli abusi trovano un humus ideale. Altro che l´invito che il magistrato coordinatore del Dipartimento penitenziario, Alfonso Sabella, racconta di aver rivolto al personale quel 19 luglio 2001, giorno dell´anniversario della morte del giudice Borsellino: «Dovrete essere per i detenuti di Bolzaneto come "i caschi blu dell´Onu». «Non c´è giustificazione» scrivono i due pubblici ministeri. Non c´è per «il taglio di ciocche di capelli per E. Taline, per M. Teresa e per C. Pedro; per lo strappo della mano per A. Giuseppe; per l´umiliazione di B. Marco costretto a mettersi carponi e ad abbaiare come un cane; per il pestaggio di T. Mohamed, persona con un arto artificiale; per le profonde offese ad A. Massimiliano, per la sua bassa statura; per gli insulti razzisti ad A. Francisco Alberto per il colore della sua pelle; per la sofferenza di K. Anna Julia cui alla Diaz per le percosse hanno fratturato la mascella e rotto i denti, persona neppure in grado di deglutire; per il disagio di H. Jens che nella scuola Diaz per il terrore non è riuscito a trattenere le sue deiezioni e al quale non fu consentito di lavarsi; per l´umiliante foggia del cappellino imposto ad H. Meyer Thorsten (un cappellino rosso con la falce ed un pene al posto del martello); per l´etichettatura sulla guancia per i ragazzi arrestati alla Diaz; per i colpi sui genitali, per molti». Non c´è giustificazione per tutto questo.